Drammatico, Recensione, Storico

WOLFSKINDER

TRAMA

In un paese della Prussia orientale sotto l’occupazione russa del 1947, il quattordicenne Hans e il fratello Karl, di nove anni, perdono la madre per fame durante un inverno particolarmente rigido. Sul letto di morte la madre chiede a Hans di vegliare sul fratello minore. Hans sembra il meno capace dei due di affrontare le difficoltà che li attendono, eppure viene caricato di tutte le responsabilità. I due fratelli devono attraversare la Lituania per ritrovare dei contadini che si prenderanno cura di loro.

RECENSIONI

Così il pressbook: Sul finire della Seconda Guerra Mondiale, la Prussia Orientale venne occupata dall’Armata Rossa. Su ordine di Adolf Hitler, Gauleiter Erich Koch minacciò con pesanti pene chiunque tra la popolazione tedesca avesse provato a scappare. Il comando di lasciare l’area arrivò troppo tardi poiché la linea di guerra era ormai alle porte. Parte della popolazione tedesca si salvò dall’attacco dell’Armata Rossa, ma la via di fuga verso Ovest venne bloccata dai sovietici nella primavera del 1945. I sovietici ordinarono ai rifugiati tedeschi di tornare nei loro villaggi distrutti costringendoli ai lavori forzati. Dopo il rigido inverno del 1946/1947 sempre più famiglie mandarono i propri bambini in Lituania. Nei villaggi e nelle fattorie saccheggiate non c’era abbastanza cibo per sfamarli. La Lituania, liberata dalle truppe tedesche dall’occupazione russa, voleva mantenere la propria indipendenza sotto il comando tedesco. Questo spiega perché la maggior parte della popolazione lituana era ben disposta verso i bambini tedeschi e felice di aiutarli. Avevano, inoltre, un comune nemico da combattere: l’occupazione sovietica. Molti bambini rimasero orfani nella fuga e vagarono senza meta.

In Wolfskinder, sorta di film-emblema sullo sradicamento e sull’infanzia che ancora oggi fugge miseria, povertà e guerra, la storia dei bambini-lupo è declinata in forma di favola, pur ispirandosi a episodi reali ricavati da testimonianze dirette: Hansel e Gretel imparano a sopravvivere, tra mille peripezie e, a fronte di una situazione che imporrebbe loro di rinnegare le proprie origini e il proprio nome, riescono a non dimenticare chi sono.
Il film di Ostermann a una narrazione cruda e sanguinosa, scandita da episodi tragici, oppone un registro visivo molto consapevole, caratterizzato da una superba cura della composizione e dalla ricercata innaturalezza della fotografia. Quelle che potrebbero suonare come derive estetizzanti - e che altrove sarebbero state imperdonabili - sono in realtà modalità legittimate dal registro prescelto, quello della fiaba appunto, e mantenute coerenti per tutto il corso della solida narrazione. Il film non cede a pietismo o sentimentalismo e non è mai puntato solo sulla resa del contesto storico, proponendosi, al contrario, come delicato racconto di formazione che mette in debito rilievo i caratteri dei protagonisti. Una prova riuscita che deve molto anche ai giovanissimi attori, tutti esordienti.