TRAMA
Nel regno di Rosas tutto sembra scorrere a meraviglia fino a quando Asha scopre l’inganno del re-mago Magnifico ed esprime un desiderio a una stella.
RECENSIONI
A dream is a wish your heart makes
Cenerentola
The stars are there to guide us, to remind us to believe in possibility
Asha
Ben 73 anni distanziano Cenerentola (1950) e Wish (2023) ma sono cento gli anni che quest’ultimo vuole celebrare: il 16 ottobre 1923 i fratelli Disney firmano il primo contratto per dodici film con la distributrice Margaret Winkler sancendo la nascita ufficiale dei Walt Disney Animation Studios. Jennifer Lee, ora a capo di tale divisione dell’ormai sconfinato impero del Topo e autrice della saga dall’immenso successo di Frozen, affida a Chris Buck (già co-regista dei due Frozen) e Fawn Veerasunthorn l’arduo compito di confezionare un omaggio a tutta la storia del cinema d’animazione disneyano, riservandosi però il compito più arduo, quello della scrittura, impregnando - per forza di cose - tutto il film della sua visione e della sua poetica. È apparso subito chiaro che il sogno fosse il fil rouge che lega praticamente tutti i Classici d’animazione dello studio; eppure il concetto stesso del sogno è cambiato lentamente - ma costantemente - in tutti questi film nel corso dei decenni, rispecchiando e persino anticipando (come sempre in Disney) gusti, mode e sensibilità della società (occidentale, ovviamente). Biancaneve sogna e canta al pozzo dei desideri di “un amore che sia tutto” per lei mentre Geppetto prega la stella dei desideri di rendere Pinocchio un bambino vero. Cenerentola, rifiutandosi di rivelare i suoi desideri perché altrimenti non si avvererebbero, invita il pubblico a “sognare e sperare fermamente, dimenticare il presente e il sogno realtà diverrà”. Aurora invece è proprio nei sogni che dice di aver conosciuto il suo amore. Insomma, la morale, figlia essa stessa del rampante american dream di tutta la prima metà del Novecento, è chiara: se si crede fermamente ai propri sogni, essi diventeranno realtà, non certo senza impegno e prezzo da pagare, condizioni che solo più in là negli anni vengono enfatizzate: Ariel, pur di essere “parte di quel mondo” è pronta a dar via la sua voce, Belle vuole che “la vita le dia qualcosa in più” e “vivere di avventure” finendo per affrontare (e amare) una bestia prima di trovarci il suo principe, mentre Aladdin dovrà affiancare coraggio e onestà ai tre desideri della lampada magica per conquistare il cuore di Jasmine (“non posso far innamorare qualcuno di qualcun altro. Bello il mio romanticone!” declama il Genio). È però solo con La Principessa e il Ranocchio che si sottolinea il duro lavoro che la realizzazione del sogno richiede (nel caso di Tiana, aprire un un ristorante) mentre Flynn, qualche anno dopo, suggerisce a Rapunzel che i sogni cambiano con noi stessi (“il mio nuovo sogno sei tu” le rivela). Mirabel in Encanto, invece, più che un sogno chiede quel miracolo che tarda ad arrivare … e che forse non arriverà mai, almeno non nella forma in cui spera.
E veniamo a Wish, la origin story della stella dei desideri, film che porta a compimento questo discorso aggiungendo un altro tassello: il sogno come atto stesso del sognare, la cui realizzazione diviene soltanto una possibilità e di cui si riconosce tutta la fragilità. È su questo che fa leva il villain della storia, il mago-re di Rosas, Magnifico, per convincere i suoi sudditi a separarsi dai loro desideri, dei quali si dimenticheranno una volta a lui affidati, promettendo di esaudirli lui stesso con la sua magia al momento opportuno. Ma Asha, l’aspirante apprendista protagonista di questo princess-movie senza principesse, scopre che non tutti i desideri verranno esauditi, perché alcuni, a insindacabile giudizio di Magnifico, sono considerati sovversivi e pericolosi per il regno. Con l’aiuto della stella Star, che ha risposto al suo desiderio di liberare i sogni presi in ostaggio, Asha avvia contro il re e il sistema una rivoluzione non richiesta da cittadini, che vengono viziati e rassicurati da una sorta di Matrice ingannevole - eppure efficace, perché garantisce di fatto pace e prosperità - il cui stesso Architetto è difficile da condannare in toto: Magnifico è uno dei villain più ambigui e complessi che la Disney abbia mai creato, un monarca bello, vanesio ed egocentrico (un mix incredibilmente misurato di Gaston, Jafar, Ade e Grimilde) spinto da nobili intenti, ma non disinteressato come crede di essere.
Il pezzo “Il grazie però dov’è?”, geniale nella sua messa in scena, che Magnifico canta esasperato dal suo incontentabile e ingrato popolo, rivela tutta la natura fragile e corruttibile di un sovrano i cui traumi infantili (la famiglia è stata sterminata da predoni) non sono stati risolti neanche dalla venerazione delle folle o della bella regina-consorte Amaya, che in una prima stesura doveva essere cattiva e in combutta con lui. Si è optato per un rilettura più originale (anche i villain possono essere amati) e femminista che vede Amaya stessa ribellarsi al suo amore ormai irremediabilmente corrotto dal potere oscuro e abbracciare, insieme ad Asha, il ruolo di nuovo leader del popolo che, tutto, alla fine aprirà gli occhi e volterà le spalle all’ex sovrano. Ed ecco che qui rispunta la Lee autrice e prima regina dei Disney Studios odierni, la cui forse unica pecca è quella di aver svilito un pò la figura del maschio, quasi sempre accessorio o cattivo; le donne sono guide autosufficienti: Amaya, prima regina di Rosas e Asha, prima fata madrina, si dividono i ruoli (un po’ come Anna e Elsa) e le responsabilità del fu re-Mago corrotto e ingannevole e ristabiliscono quello status-quo iniziale (raccontato, come da tradizione nella happy village song di apertura “Venite a Rosas”) in cui però non c’è menzogna. Magnifico è imprigionato in quello stesso specchio in cui trovava sicurezza e lusinghe, e diventa - in quel multiverso disneyano che Wish stesso sembra suggerire - lo Specchio delle Brame di Biancaneve e i Sette Nani. Questo è soltanto uno degli innumerevoli omaggi che arricchisce il film senza trasformarlo in una parata di crowd-pleaser come di fatto è, ad esempio, Super Mario Bros - Il film, dove costituiscono la struttura stessa della trama. In Wish i fan più fedeli non possono non riconoscere le personalità dei sette nani negli amici di Asha, o non notare sullo sfondo - giusto per fare qualche esempio- la casetta di Aurora e il suo abito, o quello della Fata Madrina di Cenerentola che Asha indossa alla fine. Non manca neanche la classicissima “I want song” - e, del resto, come potrebbe in un film che si intitola Wish? - “Un sogno splende in me” nella quale Asha esprime il suo desiderio alla stella Star.
Star è il cuore pulsante del film. Inizialmente era stata pensata come una creatura mutaforma e parlante di cui, in sembianze umane, Asha si innamorava. Tale sottotrama è stata poi fortunatamente eliminata, ma il duetto d’amore “A ogni costo” è sopravvissuto, affidato però a Magnifico e Asha per i quali l’oggetto dei loro sentimenti diventano i desideri, intesi come strumento di controllo per l’uno e causa a cui votarsi per l’altra. In inglese l’ambiguità del you - persa col voi italiano - ne permette ancora una lettura in termini classicamente amorosi, per la gioia dei fan dei tradizionali love duets disneyani (“Il mondo è mio” di Aladdin, “Il mio sogno sei tu” di Rapunzel, “La mia occasione” di Frozen, per citarne alcuni). Nella versione finale Star è rappresentata come una stellina luminosa muta dal carattere di una bimba neonata, sostanzialmente una sfera, che rappresenta, a detta del regista Chris Buck, “la semplicità e l’essenza dell’animazione” omaggiando non solo la bouncing ball, ovvero quell’esercizio base su cui tutti gli animatori devono sbattere la testa per apprendere i principi dell’animazione, ma anche tutta la tradizione di pantomime disneyane rese indimenticabili proprio perché possibili solo tramite il medium animato (su tutti il riferimento più evidente è Campanellino). E a splendere in Wish è tutto il comparto tecnico, non solo grazie alle sempre eccellenti e ispirate animazioni, ma proprio alla resa grafica, quel misto 2D/CG da tanto tempo ricercato e agognato e reso possibile solo grazie ai trionfi di altri studi d’animazione (Sony su tutti) che, prima della Disney, sono riuscite a imporre un look diverso dalle rotondità sempre più fotorealistiche della CG pixariana. E dire che era stata (ancora una volta) la Disney la prima a cimentarsi, tra il 2012 e il 2021, con forme di animazione ibrida grazie agli splendidi corti Paperman, Feast e Far From the Tree. Non potendo sperimentare nel character design, sempre irrimediabilmente legato al Disney style, e rifiutando la strada del comic-book look intrapresa da Sony, l’art director e veterano Disney Michael Giaimo (che si raccomanda di evitare di fruire del film sui minuscoli schermi dei cellulari e simili), opta per un look acquerello da illustrazione di fiabe che omaggia altri artisti Disney del passato come Gustaf Tenggren e Kay Nielsen riproponendo il formato widescreen de La Bella Addormentata nel Bosco, e impreziosendo i personaggi e i background di una linea di contorno che li stacca dalla grana di cartoncino che si è scelto di applicare a ogni fotogramma. Il risultato è un look originale e insolito, un perfetto compromesso tra il rassicurante e nostalgico disegno a mano e la versatilità della CG.
La grande vittoria di Wish, almeno agli occhi di uno spettatore non necessariamente fan Disney ma per lo meno privo di malizia e pregiudizi, sta proprio nell’aver saputo omaggiare in modo onesto e sincero, sia nella forma che nella sostanza, un secolo di immaginazione, coraggio e sperimentazione, continuando una narrazione coerente e autoriale, pur partorita da menti espressioni di società diverse e lontane nel tempo, ma tutte ispirate dai principi e dalla visione di Walt Disney in persona. E ci si conceda anche una (sovra)interpretazione forse un pò azzardata ma plausibile: Asha, la più idealista delle eroine Disney, la più progressista e sovversiva rappresenta la nuova gestione di Jennifer Lee, che vuole restituire alla Disney (nel film, saba Sabino, uno dei pochi nonni disneyani, guarda caso, compie cento anni) quella sincerità e coraggio di un tempo, in un momento di enormi cambiamenti storico-sociali all’interno del cinema (basti vedere tutta la questione dell’inclusività e del cosidetto wokismo). È Asha - non a caso figlia di un filosofo- a ricordarci che il possedere un sogno (non l’idea di un sogno) e tentare di farlo avverare è condizione imprescindibile della propria felicità e realizzazione personale ed è sempre Asha/Jennifer Lee/gli artisti della nuova Disney che di fatto realizza il desiderio di Sabino/Walt Disney di ispirare il popolo di Rosas/la società contemporanea che sembra aver dimenticato i propri sogni.