Drammatico, Mélo, Netflix

WILDLIFE

Titolo OriginaleWildlife
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2018
Durata104'
Sceneggiatura
Trattodal romanzo di Richard Ford
Fotografia
Scenografia
Musiche

TRAMA

In una cittadina del Montana, il quattordicenne Joe osserva la disgregazione della propria famiglia, scoppiata nel momento in cui il padre ha scelto di andare a spegnere un grosso e minaccioso incendio.

RECENSIONI

 L'esordio alla regia di Paul Dano ribolle di un'inquietudine e di una rabbia sotterranee, che mai davvero esplodono in un patetismo caricato e in un sentimentalismo urlato e sopra le righe, ma che agiscono in maniera carsica e implacabile negli anfratti delle inquadrature, delle scelte stilistiche e dei dettagli dei volti. Wildlife è un melodramma famigliare asciutto e trattenuto, ma non inerme né freddo, in cui la potenza delle tensioni che si accumulano, delle crepe famigliari e interiori che si allargano, delle disgregazioni irrimediabili, si esprime in quel minimalismo fortemente espressivo e stratificato che ricorda la quotidianità di un racconto di Raymond Carver o i luoghi della solitudine di un quadro di Edward Hopper, riferimento inevitabile e solo fino ad un certo punto pavloviano -  a partire dalla fotografia di Diego García che in qualche modo restituisce le tonalità e le atmosfere dell'olio su tela.
In qualche modo, è come se Paul Dano avesse preso il melodramma bollente alla Douglas Sirk – i luoghi della provincia più profonda, le zone d'ombra dell'età dell'oro degli anni cinquanta, i personaggi lacerati tra conservazione e libertà ( Si veda la madre interpretata da Carrey Mulligan) sono molto simili – e l'avesse messo nel congelatore, raffreddandone la superficie e lasciando che il calore agisse carsicamente e si liberasse pian piano. Cercando un'altra metafora, assistere a Wildlife è in un certo modo come osservare dei quadri, e farsi colpire dai dettagli. Soprattutto nella prima parte, infatti, Dano mette in scena dei tableaux vivants, dalla cinepresa fissa e dal punto di vista apparentemente distaccato ed esterno, in cui sono i movimenti dei personaggi e le loro posizioni interne al piano a permettere di scavare oltre la coltre di una vaga stilizzazione. Così, fin dall'inizio, dal momento della prima cena, capiamo che il punto di vista è quello del ragazzo grazie ad un'inquadratura che si pone all'altezza del suo sguardo e "taglia" il padre e la madre; oppure, veniamo a conoscenza dell'incendio, contemporaneamente Deus ex machina e metafora più immediata della vicenda, con un campo lunghissimo, in cui il fumo è un particolare alle estremità dell'inquadratura che fotografa un luogo immobile, dove l'unico movimento è quello di un treno merci che taglia orizzontalmente il piano.

I campi lunghi e lunghissimi sono una ricorrenza nel film, e spesso creano il contrasto tra l'ebollizione interiore e la crisi intima – principalmente quella di Joe, osservatore tanto quanto protagonista del racconto di formazione – e la stasi totale del contesto avvinghiante; si veda il momento in cui il ragazzetto, costretto dalla distrazione della madre ad andare a fare la spesa, esce dal supermarket e lo sguardo si abbandona a lungo nell'osservare questa sorta di placida immobilità visiva e urbana dell'esterno del negozio, mentre il protagonista sparisce pian piano allontanandosi in bicicletta. Questa frequente ricorrenza tra sofferta evoluzione interiore e staticità del contesto contribuisce a far emergere le questioni più vaste che Wildlife accenna, rendendo la disgregazione famigliare raccontata, emblematica di tendenze in atto.
Ambientato, come accennato, nella profonda periferia del Montana a inizio anni sessanta, al termine del decennio che per molta cultura statunitense è stato una sorta di ultimo periodo di reale felicità e splendore della nazione, e mosso dalla lotta contro l'incendio che richiama la cultura della wilderness e della frontiera, Wildlife può essere per esempio anche considerato come un film sul lavoro. Dall'assenza del lavoro nasce la crisi del maschio inteso come capofamiglia dominante, così come nasce l'idea di affidarsi alla mitologia della wilderness e della frontiera simboleggiate dall'incendio. Mitologie che però, per quanto riguarda la connotazione identitaria e, per così dire, "di potere" del maschio, non riescono più ad essere adeguate e al passo con i tempi, facendo anzi perdere un ruolo di dominio dato per scontato. Soprattutto nella seconda parte poi, proprio dalla necessità di trovare lavoro e sostentamento, emerge la figura di una donna lacerata tra tendenze alla conservazione e ai ruoli consolidati, e la voglia/necessità di libertà, di emancipazione e di compiere scelte, comprese quelle consapevolmente sbagliate, indipendentemente dalle imposizioni radicate. In questa seconda parte, più frequentemente la cinepresa si avvicina ai personaggi con significativi primi piani, e più evidente diventa quindi l'attrito tra movimento interiore e stasi del contesto della provincia e di ciò che rappresenta, rappresentato dai tableaux vivants con campi lunghi e lunghissimi.