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TRAMA
Ritratto di un’icona del cinema alle prese con il ruolo più impegnativo mai interpretato: se stesso (e il re Erode).
RECENSIONI
Come per Looking for Richard (ma meno felicemente) Pacino si mette in gioco quale mattatore, regista, uomo di teatro; film su un'ispirazione (quella del dublinese che partorì un capolavoro) Wilde Salome è cinema al teatro, teatro al cinema e non solo; si indaga sul testo e la sua genesi, su Oscar Wilde e la sua tragica storia, dalle stelle alle stalle; si inscena il dramma sul palco, accompagnato da una rappresentazione muta outdoor, girata nel deserto, a mò di fil rouge.
Quella teatrale (il cuore della faccenda), con un cast di ottimi interpreti su cui troneggia, è il caso di dire, l'Erode paciniano, a un bivio sessuale – come il Wilde che la scrisse, incapace di governare le sue emozioni -, è un allestimento scarno e tutto puntato sulle interpretazioni: scenografie all'osso, attori che mantengono la posizione, qualche tocco d'epoca, luci d’effetto in un contesto di stilizzata contemporaneità.
Il film non è un diario di lavorazione, non è un vero e proprio documentario (anche se non mancano le interviste - a Stoppard, Kushner, Vidal, Holland e... Bono), è un collage di stranezze (ipse dixit), un resoconto autoreferenziale: Pacino che fa un film su una Salomè wildiana, ma messa in scena apposta per il documento che vediamo, un rendiconto del travaglio che si agita dietro il lavoro del regista, del tormentato processo di realizzazione di una performance teatrale e di una pellicola cinematografica, anche se a questa benedetta scadenza da rispettare (la produzione impone di chiudere il film in cinque giorni), ai soldi che non ci sono (i soldi sono tutto), alla strenua lotta contro il tempo e le avversità (vera, falsa, falsamente vera, veramente falsa che sia) non ci si crede mai ché è tutto teatro anch'esso, anche se decisamente meno avvincente e più fiacco di quello wildiano.
Pacino tiene in mano il lavoro: lo spettacolo è lui, il suo entusiasmo, le sue gigionate, i suoi eccessi (senza pudore si mette nei panni di Wilde, coscientemente ridicolo, amabilmente piacione), il suo agitarsi fuori (Dublino, Parigi, Londra, New York, Los Angeles) e dentro la scena.
Uno strano oggetto questo film: diseguale, un po’ vacuo, con i suoi picchi nella rappresentazione del testo, tanto vanitoso sbattersi da primadonna e l’indiscutibile merito di divulgare al mondo l'amore autentico di un grandissimo interprete per un’arte e per un autore.
In origine dovevano esserci unopera teatrale e un film, poi dalla somma delle parti è nato un ibrido che diventa soprattutto un documentario sullispirazione. Comune denominatore il talento di due artisti, separati da circa un secolo ma accomunati dallamore per larte: Oscar Wilde e Al Pacino. Il progetto segue la gestazione dello spettacolo teatrale, tratto dalla Salomé di Wilde, che la star newyorchese intende trasporre a Los Angeles in chiave avanguardistica. Al Pacino, da sempre amante del palcoscenico, pensa di trarne anche un film, sempre tendente allo sperimentale, attraverso una contaminazione di stili diversi che raccorda riprese live dello show a trasferte a Gerusalemme, con attori differenti a ricoprire lo stesso ruolo. Una macchina da presa pedina costantemente Al Pacino come in un reality, facendo emergere i problemi legati al budget (everything is money grida a un certo punto), e spaziando dalla difficile combinazione tra cinema e teatro alle falle di un percorso creativo. Ma la linearità è interrotta da incursioni prettamente documentaristiche sulla figura di Oscar Wilde, di cui vengono raccontati gli eventi salienti della vita, stimolati da un viaggio di Pacino a Dublino, patria del drammaturgo irlandese, per ritirare un premio alla carriera. Pacino è anche autoironico nel mostrare il fallimento del suo progetto. Lo spettacolo teatrale è stato infatti un fiasco clamoroso che ha dovuto chiudere i battenti dopo poco tempo (certo, pagare 100 e passa dollari per un semplice reading avrebbe fatto infuriare anche i fan più accaniti), mentre il film è diventato qualcosa di completamente diverso. Il risultato è debordante, furbo e compiaciuto nel mettere tanta carne al fuoco. Se si hanno vari dubbi sulla valenza del progetto teatrale (le scelte di regia paiono piuttosto grossolane, così come linterpretazione in stridente falsetto di Erode e lassenza di qualsiasi ironia nella Salomé della pur brava Jessica Chastain), il puzzle che ne consegue, invece, diverte ed esprime una vitalità davvero contagiosa. Alla fine è unauto-celebrazione di Pacino che gioca con il suo mito e con un ego smisurato, ma il risultato ha il pregio di slegarsi da qualunque cliché e di andare alle radici di una personale urgenza comunicativa.