TRAMA
Stéphanie torna al paese natale per accudire la madre gravemente malata. L’accompagna il russo Mikhail, un immigrato clandestino. Li raggiunge Djamel, un giovane magrebino. I tre si amano. Stéphanie deve affrontare i ricordi del tempo in cui si chiamava Pierre ed era un ragazzo.
RECENSIONI
WILD SIDE è riassunto alla perfezione dal nudo alla Courbet attorno al quale ruota lo strepitoso prologo: lontano dalla morbosità più banale, il film di Lifshitz tratteggia un enigma indecifrabile nella sua cruda semplicità. Il corpo di Stéphanie, accarezzato dalla voce spezzata di Antony Hegarty (I Fell in Love with a Dead Boy), inaugura una galleria di figure sospese (tra femminile e maschile, passato e presente, vita e morte) in un mondo di suburbano squallore, una Babele tascabile in cui la debolezza della parola e la crudeltà del ricordo possono essere compensate solo dalla tenerezza di un contatto (fisico quanto spirituale) ardente e felpato. Il triangolo equilatero al centro dellazione è il frutto di un gioco di specchi: i tre amanti sono la stessa persona, un esule che non può affrontare il passato e (ri)trova nellamore il desiderio di sopravvivere al crepuscolo di un universo congelato.
Assistito dalla struggente fotografia di Agnès Godard, il regista crea immagini di notevole fascino, astratte e mai asettiche, ma la destrutturata scansione temporale (affine a quella di QUASI NIENTE, altro pellegrinaggio nella terra dei ricordi) è a volte eccessivamente meccanica, compromettendo la tensione del racconto, alcune sequenze (quella del voyeur su tutte) sono ai limiti del bozzettismo e lepilogo aurorale risulta troppo esplicito, tradendo le fosche ed ellittiche premesse. A ogni modo, WILD SIDE è una prova più che interessante, meritevole di una visibilità ben superiore a quella (di norma) garantita da una sudaticcia distribuzione estiva.
