WILD COUNTRY

Anno Produzione2005

TRAMA

Kelly Ann, una sedicenne di Glasgow, si lascia convincere malvolentieri da Padre Steve a dare in adozione il pargolo appena partorito. Non solo, ma poco tempo e la ragazza incontra nuovamente il padre del bambino, anche lui giovanissimo. Ciò avviene proprio durante un’escursione organizzata dal prete autoritario e impiccione nel cuore della brughiera scozzese. Con loro ci sono altri coetanei dai trascorsi difficili. Ma nessuno può immaginare, al momento di accamparsi nei pressi di un antico castello, quale tremendo pericolo si annidi nelle tenebre.

RECENSIONI

Chi ha paura del lupo cattivo?

La Scozia che non ti aspetti. Ed è proprio un organizzatore dall’aria simpatica e burlona, incaricato di presentare al pubblico Wild Country di Craigh Strachan, il primo ad affermare che la mezzora iniziale del film ricorda un dramma sociale di Ken Loach, mentre la seconda parte diventa finalmente un horror… ma come lo girerebbe Ken Loach. Stupore in sala. E forse a qualcuno sarà venuta la tentazione di scappare a gambe levate dal cinema! In tutti i presenti è prevalsa, ovviamente, la curiosità, presto ricompensata da una delle visioni più avvincenti dell’intero festival. Parte la proiezione, e ci si trova di fronte alla puntuale conferma di quanto detto in precedenza dal rappresentante del Nightmare: ebbene, non solo tale descrizione corrispondeva al vero, ma il risultato dello strano miscuglio di generi è brillante più di quanto si potesse immaginare.
Nel film la parlata dei ragazzi, tra cui riconosciamo subito quel Martin Compston già protagonista di Sweet Sixteen, è uno slang colorito che rimanda a certi drammi sociali ambientati nei sobborghi del Regno Unito. Come anche la vicenda di Kelly Ann (una convincente Samantha Shields), ragazza madre spinta da un prete cinico e ipocrita a dare in adozione il figlio appena partorito. E come lo stesso Padre Steve, figura quasi caricaturale, apparentemente modellata su quei tristi figuri con la tonaca piuttosto che assistenti sociali o rappresentanti di qualche altra istituzione, che il cinema britannico più “impegnato” è solito stigmatizzare alla prima occasione. Insomma, il primo spettro ad aggirarsi per le campagne scozzese è senz’altro quello di Ken Loach! Ma in agguato nella brughiera vi è ben altro… La sterzata verso l’horror non è nemmeno brusca, perché alla guida del veicolo che accompagna i ragazzi della parrocchia verso la loro avventura c’è un Padre Steve in vena di racconti spaventosi: ad esempio quello su una famiglia di antropofagi che, secondo una leggenda locale, avrebbe imperversato nella regione secoli fa, prima di essere processata e di finire arrostita sul rogo. La risata greve alla fine del discorso lascia pensare che quella del folkloristico sacerdote sia solo una boutade. Ma quando quei “ragazzi difficili” vengono lasciati soli nella brughiera, a far pratica con la salutare pratica del campeggio, si scopre insieme a loro che qualcosa di ancora più terrificante ha eletto a sua dimora le rovine del vicino castello. E quando quel “qualcosa”, ovvero un’allegra famigliola di lupi mannari, entra in azione, il giovane Craigh Strachan dimostra di sapersi giocare la carta dell’horror mantenendo un equilibrio magico, tra tensione e ironia. Le scene girate di notte rendono bene lo spaesamento dei protagonisti di fronte alle prime aggressioni, suggerendo la presenza di una costante minaccia acquattata nel buio. Ma anche quando la creatura si rivela, fa piacere notare che make up e trucchi di natura meccanica possono ancora sostituirsi degnamente all’impero della computer grafica! Se da un lato gli effetti speciali offrono un buon contributo, ogni situazione sviluppata nel film è poi condita della necessaria ironia. Un’ironia che in certe situazioni diventa satira sfacciata della società anglo-sassone tradizionale e di un certo way of life. Puro humour nero britannico, per intenderci, come nell’occasione in cui un campagnolo scozzese non vuole proprio credere alla presenza in zona di bestiacce feroci; e nonostante a rivelarglielo sia stata una sopravvissuta ancora sconvolta e coperta di sangue, il tipo trova più sensato avvicinarsi ad un capo di bestiame completamente dilaniato… e mettersi ad imprecare contro il morbo della mucca pazza e i suoi imprevedibili effetti! Non sono poche le frecciatine ironiche rivolte alla chiesa cattolica e a Padre Steve, che per un po’ non si vede, ma torna a far danni in un finale davvero strepitoso! E per non togliervi la sorpresa, almeno su questo terremo la bocca cucita.

                        Stefano Coccia