Drammatico, MUBI, Recensione, Sentimentale, Spionaggio

LA MOGLIE DELLA SPIA

TRAMA

È il 1940 a Kobe, la notte prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Il mercante locale Yusaku Fukuhara sente che le cose stanno prendendo una brutta piega e decide di recarsi in Manciuria, senza portare con sé la moglie Satoko. Lì è casualmente testimone di un atto di barbarie e, determinato a renderlo pubblico, entra in azione. Nel frattempo, Satoko viene contattata da Taiji Tsumori, suo amico d’infanzia e membro della polizia militare, il quale le racconta della morte di una donna che suo marito ha riportato in Giappone dalla Manciuria. Satoko è accecata dalla gelosia e se la prende con Yusaku. Ma quando scopre le vere intenzioni del marito, fa una cosa impensabile per garantire la sua incolumità e la loro felicità.

RECENSIONI

Un uomo, una donna, una spia, sua moglie. Sullo sfondo la Seconda Guerra Mondiale. Il primo film di Kiyoshi Kurosawa ambientato nel passato mette al centro il cuore e correla distanza fisica ed emotiva, sostenendo che non necessariamente una vicinanza fisica sia simbolo di una vicinanza emotiva e viceversa.

Kurosawa distanzia a più livelli due anime vicine, la spia e sua moglie. Geograficamente spedisce la prima in Manciuria e lascia la seconda in Giappone; figurativamente assegna loro ambienti diversi e opposti: fa salpare (su un ferry in mezzo al mare) lui mentre reclude (in una scatola) e rinchiude (in manicomio) lei.
Ma a colpire in Wife of a Spy è soprattutto la gestione dello spazio e delle traiettorie che i personaggi compiono all’interno dell'inquadratura. Non è certo una novità per Kurosawa ma in questo caso diventa manifestazione del centro attorno al quale gravita il film. Kurosawa colloca i personaggi a diverse profondità di campo, li muove lungo le diagonali, li fa rincorrere con lo sguardo sottolineando in un continuo andirivieni la relazione che intercorre tra loro. Le figure si muovono principalmente in campo medio, disposte in tagli di luce che ben scandiscono e allungano la profondità degli ambienti. Magistrale a tal riguardo la panoramica che mostra i due protagonisti rincorrersi nello spazio e con lo sguardo a più riprese mentre si sentono osservati, forse spiati, dai passanti.

A differenza di Cure l’orrore in Wife of a Spy è ben definito e si manifesta in maniera inedita per Kurosawa, attraverso il Super8 documentaristico dei crimini bellici in contrasto - ancora una volta una distanza - con la spy story di fiction impressa nel film nel film. L’horror invece, quello tradizionale di Kurosawa fatto di spettri del passato e del presente (Retribution, Pulse), trova qui spazio in un incubo e nella reclusione in una scatola, manifestazioni di gelosie e paure latenti insite nella coppia e nel contesto politico.
Peccato per le eccessive sottolineature che confermano costantemente le possibili letture e che tolgono allo spettatore (televisivo?) sì il dubbio ma anche l’autonomia interpretativa. Per contro si veda la libertà di associazione tra azioni, testardaggini e desideri della protagonista del film di Kurosawa immediatamente antecedente To the Ends of the Earth dove le associazioni tra le azioni e la psicologia della protagonista erano lasciate totalmente allo spettatore, senza bisogno di essere rimarcate a parole. E proprio nel precedente To the Ends of the Earth, anche se in modo totalmente diverso, quella di Satoko, la protagonista di Wife of a Spy, è la ricerca e l’affermazione di un’identità. Un identità che passa per la manifestazione di una recita, un nascondersi che è allo stesso tempo un manifestarsi, un recitare che è un agire, un amare che è un imporsi, un salvarsi.
Girato in 8K per la televisione giapponese e proposto, con color grading e formato diversi, in concorso a Venezia dove Kurosawa si è aggiudicato il Leone d’argento per la miglior regia.