Drammatico, Sala

WEEKEND

Titolo OriginaleWeekend
NazioneGran Bretagna
Anno Produzione2011
Durata97'
Sceneggiatura
Montaggio
  • 68044
Scenografia

TRAMA

Russell conosce Glen in un locale e si risveglia al suo fianco la mattina dopo. Quella che sembra solo l’avventura di una notte si trasforma però in qualcosa di più: nell’arco del weekend i due arriveranno a condividere sentimenti, ricordi, paure e desideri, fino a scoprirsi all’inizio di un’imprevista storia d’amore. [dal pressbook]

RECENSIONI

Breve incontro: boy meets boy

Esce solo adesso nelle sale italiane, sulla scia del successo di 45 anni, il secondo lungometraggio di Andrew Haigh, realizzato ben cinque anni fa (un plauso alla Teodora Film che ha deciso di recuperarlo, un velo pietoso sulla solita miopia, voluta o inconsapevole, della distribuzione nazionale). Ancora una volta un titolo circoscritto cronologicamente, la notifica di un intervallo di tempo più o meno dilatato nel quale racchiudere potenzialità e trappole, gioie e illusioni di una relazione amorosa, giunta al capolinea o colta nel suo nascere. Nell'opera più recente i 45 anni del titolo misuravano la durata del lungo matrimonio di Kate e Geoff ma, complice un evento traumatico del passato riportato improvvisamente alla luce, si rivelavano anche un enigma da sciogliere, un clamoroso vuoto da colmare di nuove verità. In Weekend il tempo, limitato, è quello che dal venerdì sera alla domenica mattina i due trentenni Russell e Glen trascorrono insieme, dopo essersi conosciuti in un locale gay di Nottingham, tracciando le fragili coordinate di una relazione che, per via di una drastica data di scadenza (Glen sta per partire per gli Stati Uniti dove rimarrà almeno due anni), è costretta a giocare nell'immediato presente tutte le sue carte, riempiendo le ore a disposizione di chiacchiere, tenerezze, confidenze, sesso. Lì, dunque, la crisi di un'unione decennale, qui gli albori di un innamoramento. In entrambe le opere lo sguardo di Haigh dimostra la medesima sensibilità, lo stesso equilibrio di attenzione e distanza nei confronti delle coppie in scena, dei loro bisogni, dei loro traumi, la stessa cura nel ritrarne l'intimità ma anche il contesto sociale dal quale quell'intimità non può prescindere. Però è bene sgomberare il campo da una lettura equivoca (e dannosa) spesso applicata ai film a tematica lgbt quale è, per l'appunto, Weekend: no, il fatto che Russell e Glen siano dello stesso sesso non è affatto un dettaglio; e no, se uno dei due si chiamasse Rose o Mary non sarebbe per nulla la stessa cosa, non sarebbe la stessa storia né lo stesso film. Sembra una precisazione ovvia ma non è così. Pur nello spettro di emozioni dispiegate appartenenti all'universalità dell'attrazione sessuale e del sentimento amoroso, le dinamiche tra Russell e Glen sono quelle che possono innescarsi solo tra due uomini e tra due uomini omosessuali. E nelle lunghe conversazioni tra i due si scontrano e confrontano opinioni e preoccupazioni legate all'essere gay oggi, quando il coming out è assodato ma si devono sempre fare i conti con l'eteronormatività dominante [1]. Haigh lascia che tutto ciò affiori con toccante naturalezza nel ritratto della quotidianità di un incontro come tanti ma diverso da tanti, smarcandosi da proclami o militantismi molesti, aggirando il rischio del film a tesi, rivolgendo il suo racconto al pubblico più vasto possibile: il discorso identitario emerge in tutta la sua autenticità, la differenza si configura - questa sì, in modo universale - come irriducibile individualità [2].

Dall'epidermide al cuore

Un incrocio di sguardi, prima sulla pista, poi nei bagni di un disco-bar, un ammiccamento in più e Russell e Glen finiscono a letto assieme. La chimica non è immediata - a Glen piaceva un altro ma era già impegnato -, il desiderio scatta comunque. Il sesso, in Weekend, è il principale strumento di comunicazione e scoperta reciproca, il territorio nel quale tutti i possibili discorsi trovano verifica e conferma. La storia è scandita da tre incontri che, col progredire della conoscenza e dell'intimità, si caricano di maggiore intensità emotiva e crescente coinvolgimento personale. Haigh li rende sempre più visivamente espliciti: dal fuoricampo del primo incontro, annebbiato dall'alcol e ricostruito a posteriori da Russell per il progetto di Glen (che ne sottolinea i postumi con un esplicito "I smell of cock and bum") all'amplesso sul divano siglato dalle tracce di sperma sull'addome di uno dei due ragazzi all'ultimo rapporto che vede Russell abbandonarsi totalmente alla passione. Parallelamente, si ripeterà tre volte una stessa scena - Glen che si allontana da casa di Russell che lo guarda dall'alto del quattordicesimo piano del palazzone di periferia in cui abita - ed ogni volta quella macchia di colore sul vialetto (una felpa gialla, poi rossa, infine una giacca nera) si caricherà di un valore sentimentale più denso. La politicità di Weekend, oltre ad essere intrinseca alla semplicità - sì, anche alla banalità - del plot, è nella pelle, nei corpi (nel loro annusarsi, respingersi, toccarsi, nel posto che scelgono di occupare negli spazi privati e in quelli pubblici), nella sensazione delle cose. Haigh si sofferma anche su dettagli apparentemente di poco conto, come le diverse foto che tappezzano la casa di Russell nel tentativo di creare un'oasi di caldo focolare domestico (lui, che non ha mai avuto una famiglia) nel cemento di un anonimo sobborgo working-class. Russell e Glen sono diversi ma non polarizzati, o almeno non quanto essi stessi vogliano credere: il primo, bagnino in una piscina comunale, riservato, semi-closeted, conciliante, desideroso di una relazione stabile e duratura; l'altro, di probabile estrazione medio-borghese (lavora in una galleria d'arte), estroverso, militante, arrabbiato, single per scelta ("No, I don't have a boyfriend, I don't do boyfriends") e per non emulare quella che, a suo dire, è solo una convenzione del mondo straight, conformandosi così al sistema. Lo sguardo di Haigh ne rimane equidistante, privo di reticenze o moralismi (il consumo di stupefacenti è un dato di fatto, nudo e crudo), attento principalmente a registrare le variazioni d'umore, il succedersi informe - tipico della fase aurorale dell'innamoramento - di esitazioni, slanci, imbarazzi, diffidenze, aperture, il riscontro fisico di tutto questo scompiglio emotivo tra i cuscini di un divano o le lenzuola di un letto.

Becoming a blank canvas

Il progetto artistico di Glen, cui Russell dà il suo contributo, consiste nel registrare le voci dei suoi amanti occasionali, i loro racconti della notte appena passata assieme. L'idea che sta alla base è che incontrare uno sconosciuto permette di diventare una tela vuota, uno spazio sul quale proiettare la persona che vorremmo essere. Al tempo stesso però, spiega Glen, si apre un divario tra chi vogliamo essere e chi siamo realmente e quel divario mostra ciò che ci blocca dal diventare ciò che vogliamo. È, in abisso, e con minori ansie dimostrative, ciò che finisce per essere Weekend stesso: un invito a ripensarsi, a riformulare la propria identità nell'incontro con l'altro, a spogliarsi, scoprirsi e riscoprirsi assieme, ad ascoltare ciò che il corpo ha da dire al cuore.
Girato in una quindicina di giorni con troupe ridotta e in successione cronologica per preservare quanta più spontaneità possibile nella performance degli interpreti e mantenere intatto quel senso di urgenza che l'imminente trasferimento di Glen imprime alla vicenda, ambientato nella stessa Nottingham di un altro fine settimana lontano nel tempo, disilluso e operaio, il Sabato sera, domenica mattina di Karel Reisz, caposaldo del Free Cinema inglese, Weekend vive di uno stile naturalista che non si risolve mai in piatta mimesi del reale. Haigh predilige il respiro dei long takes, animati dalla discreta mobilità della camera e dall'uso del fuori fuoco, sceglie campi lunghi o medi negli esterni (la percezione di un sottile disagio nei totali di Russell in piscina), piani ravvicinati negli interni evitando il ricorso al campo/controcampo ma facendo coabitare ai due personaggi lo stesso spazio all'interno delle inquadrature, suggerendo visivamente l'idea di un confronto che è anche una condivisione. E nel prefinale ricorre a un lento, struggente zoom (un analogo movimento di macchina, altrettanto bello, più devastante, concluderà il successivo 45 anni) che letteralmente oltrepassa le barriere (personali, sociali), sfocando la rete metallica, raggiungendo i due amanti sulla banchina della stazione, riconfigurando in chiave queer un cliché del cinema sentimentale, sancendo il valore di uno scambio avvenuto (l'abbandono sentimentale di Glen, lo sguardo di sfida di Russell agli insulti omofobi). Tornato a casa, Russell riascolta su nastro il racconto della prima notte con Glen: le sue parole non faranno parte di un concept artistico per un pubblico indefinito, non verranno musealizzate in una lontana galleria americana ma restituite alla sua intimità, reimmesse nel flusso di un vita che è privata ed è pubblica, dentro e al di là di una finestra che sola s'illumina e si anima in un panorama di finestre buie e vuote.

"You'll get your heart's desire,
I will meet you under the lights"
(John Grant, Marz)

[1] Glen forse parla anche a nome del regista Haigh quando esprime le sue perplessità sul tipo di pubblico interessato al suo progetto artistico: "The problem is that no one's gonna come and see it, because it's about gay sex. So the gays'll only come because they want a glimpse of a cock, and they'll be disappointed. The straights won't come because, well, it's got nothing to do with their world. They'll go and see pictures of refugees or murder or rape. But gay sex? Fuck off".

[2] Da un'intervista al regista a cura della rivista online The A.V. Club:
AVC: "Should the film be classified as a “gay film” or not?"
AH: "That’s a really hard one. [laughs] I never really know how I feel about it. It’s strange because I’m quite happy about it being considered “gay cinema.” Sometimes if you say, “No, it’s not, it’s not!” it’s almost like you’re embarrassed of the fact that it’s about gay people, which I’m not in the slightest. So I’m happy for people to call it, if they want, a gay film, and for it to be seen as part of queer cinema. That’s fine with me, and I’m proud of that and that’s good. But at the same time I understand that you almost don’t want to be that because you don’t want to be limited or defined just by that. I think that’s the thing".