Drammatico

WASTED ON THE YOUNG

Titolo OriginaleWasted on the young
NazioneAustralia
Anno Produzione2010

TRAMA

Zack e il suo fratellastro non potrebbero essere più diversi: carismatico e popolare il primo, disadattato e maniaco della tecnologia il secondo. Unico punto in comune: Xandrie.

RECENSIONI

Youth is wasted on the young
George Bernard Shaw

E bravo Ben C. Lucas: questo giovane cineasta australiano debutta con un film costato una miseria (ha detto presentandolo: «Non rivelo il budget, non voglio che diventi un elemento di valutazione del film»), girato con grande stile, scritto senza fronzoli (il Nostro è anche unico sceneggiatore), che, pur ammiccando a destra e a manca, dimostra freschezza ed originalità.
Incipit folgorante: la gara di nuoto (inquadratura a piombo, montaggio che riporta in alternanza due prospettive, quella del nuotatore e quella del pubblico: il silenzio subacqueo e il clamore della folla si spezzano a vicenda) è già stilizzata radiografia (la schiuma che stria il plumbeo fondo della piscina) della contesa disumana che costituirà il centro narrativo dell'opera. Da subito quello che impressiona è la sfrontata consapevolezza con la quale il cineasta usa i mezzi del cinema (luci studiate, time lapse in chiave narrativa, sound design sempre pregnante, cromatismi pittorici, scelta mai banale dei punti di ripresa etc) senza che si elevi, neanche per sbaglio, il sospetto di esibizionismo o vuoto acrobatismo tecnico, rimanendo ogni soluzione densa, motivata, integrata alla rappresentazione.
Poi c'è quello che Wasted on the young dimostra di essere: un teen movie malato, che odora di Bret Easton Ellis e che rappresenta, pur nel suo andamento da tragedia classica, la fotografia di una generazione che ha delegato alla tecnologia la gestione dei propri rapporti; cose che si sanno, certo, ma pochi film commerciali, e questo lo è, possono vantare i segni propri della contemporaneità come elementi intrinseci e naturalmente caratterizzanti, non semplici marche dimostrative di una poetica à la page (in questo e nella rappresentazione della nuova aggressività dell'ultima generazione il film si ricollega fortemente a The social network): lo scambio di cellulare come formalizzazione di un passaggio di grado relazionale; la cieca fiducia nei computer; i social come casse di risonanza istantanee (in)controllabili; i filmati girati in ogni dove (la possibilità di riprodurre il reale sempre disponibile: riproduzione palese, nascosta, ostentata e domani rivista, riconsiderata, travisata, ab-usata). Nel film vive una gioventù già bruciata che annega in un benessere scontato, mai messo in discussione; studenti belli e cinici in un party continuo di cui muta solo il contesto, ma non gli ingredienti (sesso, droga, s-ballo incessante); in cui all'incrocio degli sguardi segue la conferma erotica per via elettronica; in cui non c'è limite a quello che può accadere dietro una porta che si decide di chiudere. Lucas, invece di inquadrare pedissequamente gli schermi dei cellulari per visualizzare gli sms che i personaggi si scambiano (i messaggini come forma compressa, sintetica di comunicazione, missive decisive, texting che fa progredire le storie, determina svolte, fa da contrappunto alla narrazione), li fa apparire sullo schermo, scorrere sui muri, fa sì che incidano l'immagine così come incidono sui fatti; Lucas confonde i dati temporali, riportandoli in modo mai lineare, ripropone gli eventi pixellati, li considera da un altro punto di vista, li inquadra secondo un'altra prospettiva; Lucas accenna elementi, li spiega a posteriori, li inserisce in un intreccio semplice, che si dipana senza divagazioni, ma con molte deviazioni, secco ed efficace, ché la complessità è dentro le cose; Lucas fa la differenza, insomma: il suo occhio, l'attenzione che dimostra nella resa delle atmosfere, le modalità che sceglie per narrare, la scelta di non edulcorare nulla (la violenza, brutale, pervasiva, ineluttabile).

Soprattutto: Lucas evidenzia tutta la distanza tra la realtà effettiva e la sua traduzione virtuale: quest'ultima è solo una mutabile ipotesi di realtà che corregge, omette o arriva a modificare integralmente il senso dei fatti oggettivi («Fai finta che non sia mai successo»), a risignificarli, ché centrale è il modo in cui devono essere percepiti, perché è questa percezione che permette, poi, di plasmare e indirizzare la realtà vera (et voilà, il cerchio si chiude); discorso politico di sconsolante attualità che porta questa storia, immersa in un microcosmo a sé stante, un pianeta solitario fatto di rampolli-bene (gli adulti non esistono), di ville con piscina sotto l'occhio impassibile delle telecamere, di interni lucenti e sciccosissimi, di schermi costantemente accesi, di high-school esclusive e di élite impietosa, a parlare di tutti noi e del modo in cui il Potere si fa forte della nostra incapacità di prendere decisioni drastiche (quando Darren decide di agire l'equilibrio dell'establishment salta), di come è la società, anestetizzata, a consentire che certe persone siano le merde che sono e facciano i danni che fanno. Della necessità di una ribellione: ecco, Wasted on the young è, contrariamente alla sua apparenza, l'antitesi del modaiolo, il film più antagonista che mi sia capitato di vedere da tempo, in cui l'idea di una rivoluzione come mezzo per scardinare la cristallizzata logica di un Sistema prevaricatore, corrotto, violento e manipolatore si rivela, gradualmente, come istanza ispirativa fondante.
E bravo Ben C. Lucas.