TRAMA
L’inquinamento ha reso la Terra invivibile e ha costretto gli umani alla fuga. L’unico essere “vivente” che si aggira per le rovine della civiltà è WALL-E, un piccolo robot spazzino.
RECENSIONI
La Terra è soffocata dai rifiuti e gli umani - o almeno, immaginiamo, chi se l’è potuto permettere - sono fuggiti via. Accanto alle rovine degli enormi grattacieli, sorgono gigantesche torri fatte d’immondizia. Una waste land su cui si muove, laborioso e metodico, un piccolo goffo robot addetto all’impacchettamento e all’allocazione dei rifiuti: un Waste Allocator Loader Lifter - Earth class, WALL-E. Nel cuore di un’apocalissi ormai vecchia e quieta, WALL-E si alza presto al mattino, ricarica le sue batterie solari, prende il suo cestino da lavoro e torna in mezzo alla latta, alla plastica e alla ferraglia che traboccano da ogni dove. Raccoglie la spazzatura, ne fa cubi compatti e li ordina diligentemente, per formare un’altra, gigantesca torre di rifiuti. La sua placida e volenterosa routine è illuminata da pochissime cose. L’amicizia con uno scarafaggio - unico essere vivo, oltre a lui, nel deserto che li circonda. I piccoli oggetti comuni (accendini, compact disc, scatole, lampadine) che accendono il suo stupore e che lui salva dalla loro misera sorte, portandoli nel suo rifugio e conservandoli. E un vecchio VHS di Hello, Dolly!, di cui rivede sempre alcune scene, la sera, con aria sognante. A stravolgere le sue abitudini è l’arrivo di EVE, uno stilosissimo robot (una sorta di capsula-uovo venuta fuori da un Apple Store), scontroso ma capace di tenerezza, di cui il nostro eroe s’innamora. La missione di EVE è trovare segni di vita vegetale sulla Terra per l’eventuale ritorno a casa degli umani. Il ritrovamento di una pianticella verde porterà i due nella ipertecnologica nave Axiom, dove gli umani - degli iper-obesi che girano in sedie volanti, imbambolati da schermi televisivi e incapaci di muoversi senza l’aiuto dei robot - si rifugiano da diverse centinaia d’anni. Il capitano della nave vuole tornare sulla Terra. I robot che, di fatto, dominano la Axiom, no. Il lieto fine, ovviamente, arriva dopo inseguimenti pirotecnici e momenti di crisi apparente. E Peter Gabriel canta sui bei titoli di coda.
Posta accanto ai suoi fortunati predecessori, l’ultima produzione Pixar colpisce subito per la sua radicale essenzialità. La tavolozza di colori si fa meno istrionica e brillante (grigi e gialli polverosi dominano più di metà della pellicola, bianchi “hi-tech” e colori primari riempiono la seconda parte). La mdp virtuale è meno virtuosa e più composta. I personaggi si riducono drasticamente e, tra questi, i pochi comprimari sono appena abbozzati. L’intreccio si semplifica e rinuncia a sovrapporre temi e a coltivare sottotrame. E, soprattutto, i dialoghi si rarefanno, sino a sparire del tutto per quasi due terzi della pellicola. L’assenza di dialoghi, a ben vedere, è habitat naturale del cartoon: lo dimostrano decenni di storia in cui la pantomime teorizzata e celebrata da Walt Disney ha reso le parole un mero contorno se non qualcosa di totalmente inutile (come nelle serie Tom and Jerry e Wile E. Coyote and the Road Runner ovvero in sequenze memorabili di lungometraggi Disney, come la danza di Topolino e la scopa in Fantasia o i Sette Nani che piangono la morte di Biancaneve o ancora in svariate sequenze dei capolavori di Miyazaki o, infine, nel vivace cortometraggio Presto che precede WALL-E). In WALL-E, tuttavia, la scelta è radicale. Non soltanto le parole latitano e - le poche che ci sono - sono soltanto nella parte finale. Ma latita anche l’azione, la spumeggiante, ricca, concitata e colorata azione coreografica che faceva dei film della Pixar anche e soprattutto degli scoppiettanti spettacoli. I bambini, probabilmente, si sono già annoiati dopo i primi venti minuti: Stanton attinge all’immaginario adulto delle distopie post-apocalittiche e lo riscrive con humor e semplicità intorno alla malinconica e dolcissima figura di WALL-E e al suo vivacissimo, incredibile stupore. Un Chaplin di acciaio rugginoso che si aggira per le rovine tossiche della civiltà dei consumi. Trattasi, beninteso, di pura meraviglia. La routine di Wall-E, il suo malinconico collezionismo, l’incontro con EVE e il goffo corteggiamento riempiono cuore, anima e cervello: per metà del film, la Pixar sembra liberarsi delle più scontate preoccupazioni industriali e dimentica di imporre più gag, più ritmo, più plot, più personaggi (cioè la messe di “cose” che farciva Ratatouille più del necessario). Non che la seconda parte stravolga radicalmente l’anima della pellicola: sebbene l’azione si arricchisca e la sceneggiatura paghi (ahinoi) tutti i dovuti dazi (antagonista disumano, evoluzione “umana” della co-protagonista, adiuvanti, colluttazioni, crisi e riscatto), in modi spesso frettolosi e forzati, WALL-E rimane un bellissimo esemplare di cinema dello stupore. Delle trovate fantascientifiche - sia ecologiche (l’inquinamento ha intossicato definitivamente il pianeta) sia umaniste (la tecnologia ci ha reso schiavi e larve anafettive) - e della lotta degli umani contro le macchine (zeppa di citazioni - Kubrick su tutti - sino alla nausea) importa, a ben vedere, assai poco. Quel che ci conquista è la meraviglia. Quella che prova Wall-E per le canzoni di un vecchio musical, per le lampadine e le forchette di plastica, per EVE. Quella che prova il Capitano della Axiom mentre scopre cos’è la Terra e cos’era vivere sulla Terra. Quella che provano i due umani, casualmente liberati dall’onnipresente schermo elettronico, nello scoprire la bellezza delle cose intorno a loro. Il lieto fine dell’avventura suona quasi superfluo: la palingenesi auspicata da Stanton è già avvenuta quando ci si è accorti di potersi stupire ancora.
Che alla Pixar mancasse (soprattutto) la scrittura di Andrew Stanton lo borbottiamo infastiditi dal dopo-Nemo in poi (si veda, a titolo riepilogativo, quanto scritto a proposito di Ratatouille). WALL-E ci dà ragione? Sì e No. Sì, perché i primi quaranta minuti strappano applausi e reverenza: questo mélo cibernetico in salsa post-apocalittica, venato di comico, tutto mimica robotica e racconto (finalmente) visivo e solo visivo, è di una bellezza imbarazzante. Stupefacente in senso vero e proprio. No, perché il film non finisce lì. Ma non è tanto una questione di purezza del racconto per immagini inquinata dalla dialogica, né di (pur innegabile) “normalizzazione” di un’opera, fino a quel momento, coraggiosa. Piuttosto, i due film al prezzo di uno gentilmente offerti dalla Pixar palesano la schizofrenia che ha colpito l’anima del Cartone Animato negli ultimi, diciamo, tre lustri, e che Nemo era sembrato capace di guarire: qual è il target dei “cartoni di oggi”? Le meraviglie della prima parte di WALL-E incanteranno i grandi (meglio se spettatori attenti e/o cinefili) ma annoieranno i piccini, mentre tutti i “dovuti dazi” (R. Tallarita) pagati dalla seconda parte smorzeranno gli sbadiglianti piagnucolii dei piccini per assopire (piacevolmente, per carità) i grandi. Finding Nemo, insomma, resta lì dov’è, sull’Olimpo recente dei film per tutti. WALL-E è un bellissimo film per tutti e per nessuno.