TRAMA
Una favola sociale, politica ed economica ambientata in un paese non così immaginario come potrebbe sembrare, in cui le persone approfittano l’una dell’altra, si tradiscono a vicenda e cercano l’amore a ogni costo.
RECENSIONI
Il Tempo dei Banditi
Alain Guiraudie ambienta in un universo radicato nella contemporaneità, ma fuori dal tempo, una sorta di favola che incrocia la consapevolezza politica dei personaggi con le ragioni del cuore. I protagonisti si muovono in un paesaggio rurale dove non c'è spazio per la legge e le istituzioni. A dominare è il più forte, colui che detiene il potere e riesce a non farselo sfuggire. L'intreccio cerca di conciliare le motivazioni dei padroni (sfruttatori), dei pastori (sfruttati) e dei banditi, che un po' per gioco, un po' per passione, ma anche perché incapaci di trovare differente collocazione, si pongono come intermediari a prezzo salato tra le fazioni contrapposte. Se lo spunto è interessante, si fatica non poco a sintonizzarsi con l'allegoria messa in scena da Guiraudie, sempre sull'orlo di un grottesco che sfora in un eccesso di surrealismo solo nella criptica conclusione. Lunghe sequenze dialogate spiegano, teorizzano e indottrinano, oltre a fornire appigli allo spettatore per non perdersi, ma le troppe parole limitano l'incisività delle immagini, sostituendosi ad esse nell'esplicitazione di un punto di vista. Ad interrompere la lezione sul conflitto sociale, il combattuto amore del protagonista, diviso tra due uomini: con uno l'amore fisico, con l'altro l'intesa intellettuale, con entrambi l'impossibilità di giungere a un'unione affettiva totale. Significativa la scelta del regista di dare visibilità a corpi imperfetti ma armoniosi, dando spazio ad una sessualità, di solito evitata, più vicina alla classe operaia che ai salotti borghesi. Anche in questo caso, però, sono le parole ad avere il sopravvento e a cercare una teoria da applicare al destino dei personaggi. Se le intenzioni sono lodevoli, lo stile, pur rigoroso, risente della teatralità dell'impostazione e il risultato finisce per incartarsi nella prolissità e nella forzatura con cui la metafora prende il sopravvento sulle pulsioni.
