TRAMA
Una donna (Renata Litvinova) seduta in cima ad una montagna, scrive un libro sui cantanti di opera e sulle loro vite. La donna discute di fede e talento e dei rapporti tra società ed arte: “le voci dei cantanti di opera non si possono comprare, sono regali di Dio”.
RECENSIONI
Viaggio nella memoria musicale ed artistica, straniante concerto operistico presentato da una donna che sta scrivendo un libro sui cantanti d’opera e le loro vite (Renata Litvinova, anche sceneggiatrice del film), I paralleli vocali del titolo sono quelli dei cantanti d’opera che non si possono comprare, che sono regali di Dio. Pur essendo stato commissionato dal teatro lirico uzbeko, e dunque rientrando nel genere “teatro musicale filmato”, il film dell’artista e regista Khamdamov Rustam, tornato alla regia dopo quindici anni di silenzio, opta per una messa in scena assolutamente inconsueta, facendo vibrare le corde dei soprani tra le montagne dell’Uzbekistan, in una stalla (memorabile il duetto con una pecora al suono del verdiano amami Alfredo tradotto in russo), rivestendo le cantanti di fogli di partiture e poi dandole fuoco, facendole giocare con il patrimonio musicale europeo come bimbe viziate consapevoli di essere fuori del mondo. Con uno stile estetizzante ed orgogliosamente kitsch, a metà strada tra Derek Jarman e certi avanguardisti newyorkesi, ciò che a tutta prima sembrerebbe un divertissement compiaciuto e stucchevole ad uso e consumo esclusivo di melomani è in realtà un’elegia funebre che celebra la fine di un’epoca, quella del “bel canto”, intonata da alcuni sopravvissuti fuggiti dalla metropoli e dalla storia (gli interpreti lirici Eric Kurmangali, Araksia Davtian, Roza Dzhamanova e Bibigul Tulegenova) giusto per ricercare di conferire un senso nuovo ad una cavativa a mille metri di altezza, tra contadine perplesse e capre belanti, statue che ricordano le vestigia dell’antichità, interni postdecadenti oramai fatiscenti.
