Il ritorno di David Fincher e altre amenità.
Il duo continua con la sua politica di video concettuali ribadendola con una bellissima elaborazione in VFX: in My Number i membri dei Foals (e gradualmente tutto il contesto) vengono ricostruiti unendo i puntini numerati (come nel gioco enigmistico), in una folgorante via di mezzo tra real action ed animazione.
Hand of a man dei Django Django è firmato da John Maclean (fratello del batterista del gruppo, già membro della disciolta Beta Band, regista di alcuni suoi video e vincitore del BAFTA 2012 per il miglior corto, Pitch Black Heist con Michael Fassbender): in quello che sembra un frammento di un film d’epoca in bianco nero (è girato in Super 8 e ricorda le cose di Philippe Garrel) in cui la band canta in un famoso pub londinese (le immagini sono state girate durante un party in cui il gruppo suonava per degli amici), si inserisce un momento puramente visionario in cui il cantante, preso sonno, si ritrova in un prato per un picnic. Il brano si interrompe e il video riporta solo rumori d’ambiente selezionati; passato il momento di assopimento la musica riprende mentre si confondono, per alcuni istanti, sogno e realtà. Maclean riesce nell’intento di rendere, con grazia e ironia inusitate, l’entusiasmo creativo, lo spirito della giovinezza (il pane appena sfornato, il piacere delle cose semplici), un piccolo momento perfetto di armonia conviviale.
Voto: 8
Il regista torna a collaborare con James Blake in Retrograde: il complesso di elementi è al solito straordinariamente armonioso e si sposa a meraviglia con le cadenze del brano. Al terzo lavoro in comune De Thurah & Blake si confermano sodalizio di vocazione, una di quelle alchimie (tipo Gondry/Bjork o Daughters/Feist) di cui la videomusica in sé si avvantaggia. Un’ispirazione per tutti. Classe.
Voto: 8.5
Il ritorno di Justin Timberlake alla musica imponeva un video all’altezza dell’evento e così Suit & Tie diventa l’occasione di un altro ritorno: quello di David Fincher alla videomusica dopo otto anni. Bianco e nero corposo ed elegantissimo (fotografia di Matthew Libatique), glamour a mille, controluce d’antan e palco dell’esibizione luccicante (echi di Vogue, capolavoro) che dicono quanto Fincher sia legato alla vecchia scuola: il video lo fa il montaggio, la composizione dell’immagine, la coreografia e lui, l’artista, soprattutto se è una star vera, un uomo-spettacolo che si muove divinamente e diventa centro della scena per il solo fatto di esserci, prima ancora che per quello che fa. Non c’è allora storia, la storia è lì che canta, è JT che non lo faceva da tempo, in sala di registrazione e sul palco: non esiste altra narrazione possibile.
E Fincher dà ancora punti a tutti non costruendo mirabolanti effetti, non ricorrendo a trovate e a sotterfugi: il video è un insieme di bellissime immagini (in un tempo indefinito che sembra guardare al passato, ma in cui un Pad ci riporta al presente) che celebrano il brano e vi si adattano, un vestito che calza a pennello. Perché questo è quello che deve fare una clip commerciale: esaltare la canzone, valorizzare il talento di chi la interpreta, far sognare il pubblico. Suit & Tie fa tutto questo alla grande, si imprime nella memoria da subito ed è pronto a sopportare, senza usurarsi, milioni di (re)visioni.
Voto: 8.5
E’ già da un po’ che Floria Sigismondi predilige narrazioni evidenti, mediando con la storia i suoi furori visionari: in questo caso il lavoro si presenta addirittura nella veste di un film, con tanto di titoli di apertura. La regista ritrova il Duca Bianco in questo The Stars (Are Out Tonight) in cui i coniugi Bowie – Swinton sono perseguitati dai fantasmi del passato: oramai completamente avvinti dalle mollezze della vita agiata, vengono visitati dallo spettro della coppia che furono o potevano essere, finendo per esserne ossessionati. Intanto, nell’appartamento di fianco, un gruppo rock, con cantante androgina – che è altra incarnazione di Bowie (ha i suoi occhi) – suona la canzone che ascoltiamo, disturbando la quiete domestica dei nostri.
Il continuo riferimento al mitologico passato e la consapevolezza della vecchiaia che ne insidia l’effigie – atout di molta parte dell’ultima produzione video di Bowie, da Thurdsay’s Child di Walter Stern all’ultimo Where are we now? di Oursler – qui si incrocia con incubi casalinghi e sdoppiamenti psicotici che ricordano molto quelli di Beethoven, diretto da Sophie Muller per gli Eurythmics. Il video propone allora una favola paranoide, non originalissima, che muove dalla consapevole immagine delle star coinvolte (gli indizi sulla copertina di una rivista: Bowie “alieno”, Swinton, attrice che va alla serata degli Oscar senza trucco – i due personaggi si confondono nella fase più parossistica della clip – con Bowie che impugna la statuetta e la Swinton che, smessi i panni della signora borghese, torna la creatura asessuata e platinata che conosciamo… -) e che richiama, con una certa consapevolezza, il Lynch di Strade perdute. L’impianto così organizzato è sublimato dalle consuete zampate della regista, accelerazioni e svisate orrorifiche comprese.
Voto: 7.5
E a proposito di Sophie Muller: dirige il nuovo video di Rihanna feat. Mikky Ekko, Stay come classico video performance: lei in vasca e lui in altro ambiente a duettare. Ma c’è una variante – che riporta l’integrale piano sequenza di cui si vedevano frammenti nella versione ufficiale – che è puntata sul volto della star: solo verso la fine la cantante accenna con le lebbra il brano, per poi rinunciare. Nella sua semplicità questa One Take Version Leak ha una forza indiscutibile: Rihanna è a nudo, corpo e anima, una donna col cuore a pezzi. L’unica sequenza riesce a creare un senso di intimità e di (diciamolo) dramma che nella prima versione – tra montaggio, dettagli in ralenti e cambi di scena – mancava del tutto.
Avevamo lasciato Garth Jennings con i Radiohead di Lotus Flower e lo ritroviamo in Ingenue degli Atoms for Peace in cui Thom Yorke torna su un palco a danzare una coreografia di Wayne McGregor, stavolta in compagnia della ballerina Fukiko Takase. Sarò un po’ categorico: questa sorta di replica del precedente video, con minime variazioni, mi pare, nel suo ribadire presuntuosamente il concetto, di un’insistenza arty veramente fastidiosa.
Voto: Yawn
Come un Roy Raz impoverito, male interpretato, volgarizzato e messo in ridicolo: quasi sublime questo Just a Haircut in cui un doppio Fred Oskar, tra ammiccate anni 80 e trucchetti visivi primari arriva a sparare amore a tutto schermo [foto]. Regia di Beautiful Unique Snowflake.
Viva il vandalismo illuminato del regista turco Ferit Katipoğlu in Lights dei Cinammon Chaser.
Video-performance oggi: You Naked di Jamie Lidell concepito e diretto dal collettivo Flat-E presenta l’artista all’interno di un cubo, alle prese con un microfono che contiene un sensore: tutte le animazioni grafiche che vengono generate sono in real time, senza alcuna post-produzione, e quindi riproducibili dal vivo.
Lilies dei Bat for Lashes vede la protagonista alle prese con un mondo onirico fatto di creature fiabesche e inquietanti: le invenzioni scenografiche, le riprese in stop motion e i pupazzi del regista Sluszka ricordano molto certo artigianato prediletto da Gondry (con cui ha collaborato sovente). Detta in una sbrigativa equazione:
Natasha Khan: Peter Sluszka = Bjork : Michel Gondry
Nuova, bellissima elaborazione video dello spagnolo Joan Guasch: ESOL ci esalta.
Ben Reed e le sue deliziose invenzioni rifanno capolino con l'uscita del primo singolo dell'album dei Local Natives. Ambientato in Galles, Heavy Feet illustra le avventure dei Llandow Visually Impaired Harriers, una squadra di anziani non vedenti alle prese con modellini di aeroplani (volanti).
Il tocco è documentaristico, ma pennellate di evidente surrealismo mettono in crisi qualsiasi etichetta, obbligando a rinegoziare di continuo la considerazione di un lavoro tanto ironico quanto poetico.
Come per Lamar+Nik, anche Reed appartiene a quella scena indie che continua imperterrita un lavoro di ricerca sulla forma, partendo da investimenti economici minimi e operando soprattutto sul piano dell'ideazione. Gli ho rivolto un paio di domande.
Il tuo video ha una narrazione molto marcata (ci sono addirittura dei sottotitoli) e ne ho molto apprezzato la storia eccentrica (con quei geniali sandwich che cantano…) ma condotta con un tono che, paradossalmente, è piuttosto realistico. Da dove nasce un’idea così particolare? Si tratta di docufiction?
I miei film preferiti sono quelli che stanno a gambe divaricate sulla linea che separa la finzione dalla realtà, come quelli di Abbas Kiarostami dove puoi scervellarti cercando di capire cosa è reale e cosa no. Dato che al giorno d’oggi i documentari comportano pressoché tutti della fiction, penso che convincere il pubblico che ciò che si vede sullo schermo sia reale costituisca una delle più grandi sfide. Nel video ho inserito i sandwich per aggiungerli a questa sfida: stabilire uno stile e un tono e trattenere un senso di realismo quando il contenuto vira improvvisamente dal naturalismo all’assurdo credo sia un buon modo per imparare a vincerla.
Questo video prova ancora una volta che è possibile essere creativi senza ricorrere a grandi budget, caratteristica che da sempre contraddistingue i tuoi lavori. E’ la tua filosofia?
Non so se è la mia filosofia, mi sembra di vivere in un limbo low-budget: probabilmente girerei un blockbuster in cui si sparano elefanti con i cannoni sul prato di Paul McCartney se qualcuno mi desse i soldi necessari. Ma, in ogni caso, non sono mai stato un grande appassionato di trovate spettacolari, preferisco concentrarmi sui personaggi e lo studio dei caratteri, su scene e ideazioni sceniche che non ho mai visto prima.