Commedia, Drammatico, Recensione

VIVA

NazioneU.S.A.
Anno Produzione2007
Durata120'

TRAMA

Nel 1972 una casalinga di periferia viene abbandonata dal marito e cerca di ritrovare se stessa nel grande fermento della rivoluzione sessuale. Alla ricerca di amore e avventure, insieme alla sua amica Sheila, viene coinvolta nel mondo delle colonie nudiste, degli hippie, della moda, della prostituzione e dell’ambiente bohémien, diventando un “Candide” degli anni ’70 e trovando così la strada della sua liberazione.

RECENSIONI

Regista, sceneggiatrice (ma non di The hypnotist, scritto da Jared Sanford), scenografa, costumista, montatrice, produttrice, interprete: l’aggettivo possessivo, quando si discorre dei suoi film, pare riduttivo, parlando di Anna Biller. E pare riduttivo, se non offensivo, definire le sue opere sterili esercizi di stile, ricostruzioni superficiali, giochi privi di anima. Evidente che l’artista statunitense ricalchi pedissequamente, con esemplare e artigianale minuzia filologica, e i generi hollywoodiani, nei corti, e la sexplotation anni ‘60/’70 in Viva, con maniacale attenzione al dettaglio scenografico (per sua stessa ammissione la mansione più impegnativa), ai costumi, a cliché e luoghi comuni di messa in scena e sceneggiatura. Ma altrettanto lapalissiano appare il fine di questa ricerca, rivisitazione sincera, mai totalmente parodica, sicuramente critica. Ovvio che l’approccio, davanti a certe derive legate ai generi divenute con il tempo (e l’evoluzione dello sguardo) ingenuità, possa sembrare smaccatamente ironico, ma è in realtà in bilico tra un paradossale rispetto dei referenti e l’inevitabile distanza temporale da questi: lontana dalla deformazione prettamente umoristica, la Biller si insinua nei perfetti ricalchi di modi e toni, manifestando il nucleo della sua opera, ripensamento circa il femminismo e il ruolo della donna. La frontalità della camera, pressoché sempre statica, esalta il lavoro attuato sul profilmico, palesa la teatralità, lo statuto dichiaratamente finzionale di questo cinema, dove ogni dettaglio suggerisce l’artificiosità, la propria fattura, l’essenza di feticcio. Il fatto che la Biller dissimuli con estrema coerenza i temi a lei cari in tale impianto rende le sue opere tanto onanistici, perfetti, altamente referenziali gioielli/omaggio, quanto dissertazioni estremamente personali. La prospettiva è sempre, dichiaratamente, femminile. Three examples of myself as queen -recitazione consapevolmente da filodrammatica, costumi naif, insistite incursioni musical- declina il tema del potere della donna in tre situazioni surreali: l’harem, l’alveare, il party; sconnesso e improbabile, tratteggia figure di donne che condividono la centralità rispetto all’ambiente circostante, chi attivamente, chi passivamente. A visit from the incubus affronta la storia di una ragazza deflorata nel sonno dalla personificazione di un incubo, con cui rivaleggerà, sconfiggendolo, sul palcoscenico di un saloon. Un esilarante west fa da cornice ad un’opera incentrata sulla classica figura di donna alla ricerca di emancipazione, dalla propria condizione e dai propri incubi, che coincidono con una visione deteriore della sessualità. The hypnotist, scritto e prodotto da Jared Sanford, è uno squilibrato, travolgente, insano dramma familiare (“mi sono ispirato ai melodrammi degli anni ’30 e ’40 e ai testi di Tennesse Williams quei drammi a tinte fosche che ruotano intorno alle storie torbide di una famiglia che litiga per denaro”, Jared Sanford): l’ipnotismo è necessariamente rapporto di forza, dal quale unicamente la figura femminile- lungi dall’essere moralmente integra, dedita ad uno sfrenato edonismo- riesce a liberarsi. Viva infine, unico lungometraggio, è ovviamente il testo più complesso. La Biller imbastisce un’opera di ossessiva e completa adesione al genere sexplotation, ma ne introduce alterazioni tematiche: coglie l’ambiguità della rivoluzione sessuale (“Credo che molte donne, soprattutto quelle timide, si siano ritrovate senza le protezioni che prima avevano. Viva è una commedia su quanto tutto ciò sia sciagurato”, Anna Biller), declina la passività ad arma di seduzione (“[Barbi] Attrae gli uomini con la sua passività. Credo che per lei fare la salma sia una fissazione”, Anna Biller), scolpisce una figura femminile sfaccettata, ambigua (sostiene: “Mi sono emancipata non per essere un oggetto sessuale” e “Sono diventata una femmina animalesca, fatta solo per il piacere… e mi è piaciuto”), contemporanea, in ultima istanza. Così, sulle superfici patinate del riuso, i personaggi femminili si rispecchiano superficialmente, mostrandosi in comportamenti non assimilabili allo stereotipo esatto- cosa che l’adesione al genere e la bidimensionalità dei personaggi secondari farebbe supporre-, ma presentando discontinuità incoerenti, sintomi di personalità complesse e evoluzioni subite, ma mai indagate tramite lo spiccio psicologismo. Allo spettatore il compito di comprendere, di andare oltre l’inevitabile frastornazione di corpi, musiche e colori. Così la Biller a proposito di Viva“Il punto è che perseguo due obiettivi: fare un film che ricalchi le pellicole sexplotation e che nel contempo sia qualcosa di diverso, qualcosa di attuale, di complesso, senza però far apparire questa dualità troppo contemporanea. A prima vista è un film autentico. Ci sono tutte queste cose, ma c’è anche qualcos’altro”. Qualitativamente uno dei vertici del festival, successo di pubblico travolgente, sale colme, necessità di repliche.