Biografico, Recensione

VISION

Titolo OriginaleVision - Aus dem Leben der Hildegard von Bingen
NazioneGermania
Anno Produzione2009
Durata110'

TRAMA

Vita e miracoli della mistica tedesca Ildegarda di Bingen (1098–1179): come ebbe le visioni, perchè diventò santa.

RECENSIONI

Margarethe Von Trotta, con questo film, continua la riflessione degli ultimi anni sulla figura femminile: donne nella Storia che, passando dal particolare all'universale, escono dalla vicenda singola e si fanno vettori di valori generali e condivisi. Come in Rosenstrasse, così in Vision: si definisce il personaggio in pochi cenni, lo si mette sullo sfondo della tradizione tedesca, quindi a confronto con la situazione peculiare, si registrano le reazioni eroiche e parte il processo di mitizzazione. In particolare, Hildegard von Bingen lancia al potere temporale una sfida a due strati: a livello complessivo, spingendo il processo di emancipazione delle religiose donne, in un mondo - quello dei monasteri del XII secolo - segnato dalla componente maschile, e poi sul lato personale, lottando per affermare la tesi della verità delle sue visioni, una tesi che peraltro il tono del film sposa pienamente. Su tutto, secondo la pellicola, la santa ha introdotto nella Germania cattolica il dato della modernità: questo risulta metaforicamente evidente dalle lunghe riprese in cui, a seguito di riflessioni mistico-filosofiche, la donna rifiuta la declinazione medievale della religione, per esempio la pratica dell'autoflagellazione. Se questi temi, così come sono esposti, vengono fissati chiaramente in sede di svolgimento dell'opera (mai super partes, anzi), dall'altra parte il bisogno di problematizzare è sistematicamente respinto. La parabola della mistica sembra piuttosto osservare lo schema di Propp sulla fiaba: dall'eroe (Ildegarda) all'antagonista (l'abate Kuno) fino all'aiutante (Padre Volmar), con il premio finale che è ovviamente il riconoscimento delle proprie facoltà. Le curve più tortuose dell'intreccio non sono sfruttate, per tutte basti pensare alle potenzialità del rapporto Ildegarda-Richardis. L'ingresso in scena della giovane novizia, e il legame vagamente morboso che si intavola, può innescare la sostituzione madre/figlia - la maternità è impossibile per una santa - che pone la protagonista, per la prima volta, davanti a pulsioni "negative": la possessività verso la ragazza, il rancore e l'invidia quando lei si allontana. Tutte potenzialità che restano lettera morta, dato che si preferisce proseguire la costruzione dell'eroe in termini rappresentativi immediati, subito leggibili, spesso scontati: accade che le visioni di Ildegarda coincidano sempre con una eclissi che oscura il cerchio del sole. A tratti irrequieto (le sequenze delle trance), mai illuminato, il film è quindi un'agiografia divulgativa, ce lo conferma la scelta della protagonista: Barbara Sukowa, aspra e spigolosa quanto la vicenda considerata, che interpreta Ildegarda proprio come si presume "dovrebbe essere".