Documentario, Recensione

VISAGES VILLAGES

Titolo OriginaleVisages villages
NazioneFrancia
Anno Produzione2017
Durata89'
Interpreti
Sceneggiatura

TRAMA

Agnès Varda e JR hanno dei punti in comune, in particolare la passione per le immagini e per il modo di fotografare luoghi e persone, soprattutto volti. Agnès ha scelto il cinema. JR ha scelto di creare gallerie di fotografie en plein air. I due si conoscono nel 2015 e decidono di fare un film insieme.

RECENSIONI

«Il caso è sempre stato il mio migliore assistente» sostiene Agnès Varda, e così Agnès e JR partono per caso. D’altronde la regista e l’artista, lei 88 anni e lui 33, raccontano che non si sono conosciuti dal vivo: si sono visti attraverso le rispettive opere, il volto di Corinne Marchand in Cleo dalle 5 alle 7 e le fotografie del giovane, perché è l’arte che ci fa toccare e non le circostanze della vita. L’arte è un segno del passaggio degli esseri umani. Un altro segno, naturale quindi effimero, sono i visi e i villaggi delle persone: su questo JR e Agnès imprimono i loro, rispettivamente le gigantografie dei volti e il cinema, la ripresa di questo viaggio. A bordo di un camion-obiettivo, i due incontrano dei minatori poveri, una donna che rischia lo sfratto, un contadino sul suo trattore. Ognuno di loro avrà il proprio viso incollato alla facciata della sua casa. L’arte interviene, certo, ma prima deve ascoltare: a questa umanità viene data la parola, alle loro storie più o meno comuni, che si chiede di raccontare in risarcimento a un’esistenza operaia e di retrovia. Così l’arte ricompensa la sua ispirazione. Il percorso casuale, di conseguenza, trova un senso nello stesso cammino. Ecco allora la campagna e la città, e l’inversione di ruoli per sondare l’infinito potenziale della possibilità narrativa: gli operai vanno al cinema, i registi vanno in fabbrica.
Varda e JR fanno un discorso sullo sguardo, naturalmente, ma questo procede non per logica ferrea bensì per associazione di idee: ogni idea ne contiene un’altra, la suggerisce in modo talmente sottile da diventare impalpabile e alludere sempre a una successiva. Così gli occhiali di JR ricordano quelli di JLG («Una volta se li è tolti per me»), e così Agnès è malata agli occhi e riprende la sua puntura, esplicitando la citazione a Buñuel. L’inquadratura di una capra riporta a un’immagine di gioventù, perché nella vita dei villaggi si riflette anche la propria, in un flusso di coscienza che usa la mente come schermo per rivedersi e riconoscersi. Agnès e JR litigano o fingono di farlo, mischiano i registri, applicano il loro intento a tutto: muri bucati, edifici in costruzione, immagini in abisso. Nel tentativo più struggente Agnès ricorda la foto che ha scattato al modello Guy Bourdin, ormai scomparso, e JR la riproduce nella facciata del bunker sulla spiaggia: ma il mare la porta via, il defunto svanisce anche per immagine ricostruita. La fotografia e il cinema si fermano davanti a un limite, la morte, vuoto che possono saturare solo per qualche istante.

Agnès e JR portano due maschere, il taglio di capelli e gli occhiali scuri. Anch’essi, consapevolmente, inscenano una rappresentazione, recitano una parte: e così alla fine del viaggio si torna sempre al cinema. Agnès Varda sa che il cinema inizia e finisce con Godard. Qui lo dice letteralmente, ovvero narrativamente, disegnando un’apertura-chiusura circolare con la figura di JLG che non appare sia all’inizio che alla fine. Agnès va a casa di Godard, lui non apre: ma forse è una sfida narrativa, forse l’autore di Éloge de l’amour vuole sabotare la struttura del film. Allora, per risollevarla, JR fa ad Agnès l’unico regalo possibile per un’anziana regista: un’immagine. JR si toglie gli occhiali come JLG ma la visione risulta sfocata, Agnès non può mettere a fuoco e allora è meglio guardare il lago. Continuare a guardare. Perché il suo video-autoritratto in forma di viaggio non celebra la morte del cinema, non è un gesto esiziale ma l’esatto contrario: è vitale e gioioso, si muove con levità straordinaria, con ironia squisita perché omaggia continuamente l’arte che va praticando, i suoi autori e soggetti, e anche quando lei piange a noi lascia il sorriso.