TRAMA
Parigi, Quartiere Montmarte, le 23.40 di una sera qualsiasi: al Medrano si esibiscono i leggendari clown Maïs e Beby. Finito lo spettacolo, Beby torna a casa e nel chiuso della sua camera rievoca con nostalgia le glorie passate. Il giorno seguente scorre via tra piccole marachelle, deliziosi lazzi e un pizzico di flânerie, per chiudersi infine con la consueta esibizione al Medrano. Sono le 23.50 di una notte qualsiasi a Montmartre: le luci si spengono, Beby va in pista.
RECENSIONI
Un errore di gioventù, un ignobile brouillon, un peccato orginale: così Melville definisce il suo cortometraggio desordio, omaggio affettuoso a un mondo e a un'arte in via destinzione, il circo e i clown. Nel 1946, data di realizzazione di questo corto, Melville ha ventinove anni e alle spalle, oltre alla durissima esperienza della resistenza, un amore smisurato per il mondo del circo. Negli anni delladolescenza, infatti, Jean-Pierre era più affascinato dagli spettacoli circensi e del music-hall che da quelli cinematografici, comunque molto amati. Al termine del conflitto, Melville torna a Parigi e tenta di inserirsi nel mondo del cinema, con enormi difficoltà dovute al rigido corporativismo dellistituzione cinematografica dellimmediato dopoguerra. Eppure, nonostante lostruzionismo ufficiale, fa di testa sua e acquistando blocchi di pellicola - naturalmente scaduta - al mercato nero, gira questo piccolo e struggente ritratto dedicato allarte clownesca in generale e allultimo dei grandi clown in particolare: il vecchio Beby, affiancato nelle esibizioni serali al Medrano dallelegante e lunare Maïs. Senza scadere nel clichè critico del primo film che contiene in nuce luniverso stilistico dellautore, risulta pressoché impossibile non ravvisare in Vingt-quatre heures de la vie dun clown alcuni tratti distintivi che caratterizzeranno lintera opera melvilliana. Innanzitutto lambientazione Paris la nuit: il corto si apre e si chiude a Montmartre e salvo qualche divagazione diurna presenta una forte dominante notturna. Tuttavia non è soltanto questa dominante a contraddistinguere latmosfera malinconica e il senso di fatalità pur sorridente che scaturisce dalle immagini, ma, soprattutto, linesorabilità delle ventiquattro ore: il corto inizia alle 23.40 di una notte qualsiasi e finisce alle 23.50 del giorno dopo. Lo scoccare della ventiquattresima ora chiude inesorabilmente il cerchio, stringe lapparente spensieratezza del quotidiano nel compasso del destino, illividisce i toni fino a tingerli di morte. Puro stile Melville, insomma. E allora perché il cineasta rinnega la sua prima creatura? La risposta è piuttosto deludente a dire il vero: motivi tecnici. In primo luogo il materiale scaduto, responsabile di uninsoddisfacente resa fotografica (eccessivamente velata secondo Melville), e in secondo luogo la grossolanità del sonoro. Non solo la mancanza di mezzi lo ha obbligato a girare in muto, ma in fase di potsincronizzazione il giovane regista si è accorto che Beby non sapeva leggere, vedendosi costretto a rimediare con una registrazione eccessivamente frammentata, praticamente parola per parola, con inevitabili ripercussioni sul montaggio definitivo. Questi i motivi dichiarati esplicitamente. Ce nè almeno un altro a ben vedere, anzi a ben sentire: labuso della voce narrante. Lo stesso Melville introduce, descrive, commenta e addirittura recita quasi tutte le sequenze del corto, precipitando di tanto in tanto nella sottolineatura enfatica o nel sentimentalismo un po languido, rischiando così di compromettere lincisività di uno sguardo già capace di scolpire con sicurezza vibranti ritratti umani. Ultima osservazione a proposito del set parigino: molto prima di Ascensore per il patibolo, di tutta la Nouvelle Vague e di Bob le flambeur, in Vingt-quatre heures la città diventa il teatro di unazione autenticamente vivace e imprevedibile. Jean-Pierre Melville è davvero il padre del rinnovamento cinematografico francese. In tutto e per tutto.
