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VIDEO|MUSICA OTTOBRE 2013

Truman & Cooper

Truman & Cooper (pseudonimi twinpeaksiani di Jonathan Cohen e Anthony Jorge) sono due giovani videomaker (di base a Parigi, vera capitale della videomusica europea) che si sono già messi in evidenza con alcuni lavori molto apprezzati dagli addetti ai lavori e premiati in festival di settore. Con Hope di Kid Wise narrano di un gruppo di giovani teppistelli che vivono la loro giornata tra svago e sfoghi selvaggi. Giocato su una rappresentazione sottilmente erotica dei corpi dei protagonisti, letteralmente immersi nella campagna francese, il video mette pregevolmente in evidenza caratteri e situazioni attraverso un espressivo montaggio che decostruisce la cronologia (l’incipit è puntato sul loro ritorno a casa: i corpi che portano i segni della giornata trascorsa) e, enfatizzando dettagli e momenti, narra di amore e violenza, di relazioni amicali in cui si pianta il seme del sesso e che vengono inquinate dal veleno della vendetta.
Le immagini delle scorribande dei ragazzi si impongono allora con tutta la loro forza, tra sequenze schizzate di furore acceso e altre che vantano raffinatissime composizioni (tutta la parte ambientata nella chiesa). Il risultato è tanto ipnotico quanto toccante.
Capolavoro.
Voto 9

Jean-Baptiste Mondino

E si rimane in Francia, ma alla corte di uno dei massimi videomaker di tutti i tempi, Jean-Baptiste Mondino, che presta a Sébastien Tellier uno dei suoi proverbiali bianco-e-nero: in riva al mare un uomo e una donna corrono l’uno verso l’altro. L’uomo indossa una tonaca. Niente di più, niente di meno (ma il fatto che la donna sia in pantaloni e l’uomo in sottana crea, sull’iniziale piano lunghissimo, una falsa impressione dei sessi), ma nello slancio dei due – che a volte si frena -, in quell’approssimarsi e in seguito distanziarsi delle dita del performer (il santone Tellier che rappresenta il movimento dei protagonisti) si racconta una storia.
In L’amour naissant Mondino non ha bisogno di molto per ribadire la sua classe immensa, non teme di usare un’immagine quasi archetipica – lui che incarna un vero florilegio di paradigmi (oramai applicati dai videoclippari quasi inconsapevolmente) – e di variarla su un registro mentale (la distanza sembra assottigliarsi, ma in realtà i due non si avvicinano mai). La donna è Anna Mouglalis (♥), la cui riconoscibile bellezza dà quel tocco glamour che è la vera firma del lavoro. Inchino.
Voto: un po’ di rispetto per-dio.

Isaiah Seret

Dopo lo splendido Your life is a lie  (regia di Tom Kuntz, già col gruppo per Congratulations), gli MGMT (combo che comunque non ama fossilizzarsi su nomi ricorrenti) si rivolgono a Isaiah Seret, regista tra i più brillanti delle ultime stagioni (ce ne siamo ripetutamente occupati) e grande sperimentatore della forma narrativa applicata alla videomusica. Per Cool Song No. 2 il regista narra della ricerca, da parte del protagonista (The Plant Hunter), di una misteriosa droga ottenuta da un cactus e da far assumere al suo compagno Tree (è interpretato da Harry Hopper, figlio di Dennis -), oramai soggetto a una trasformazione dovuta all’abuso della sostanza. Se il video, la cui storia si sviluppa su un binario tragico che culmina nel bellissimo finale, afferma da un lato delle istanze naturalistiche – che strizzano l’occhio a molto cinema (si pensi, tra l’altro, al Refn “americano”) e alle serie tv (il protagonista è, non a caso, Michael K. Williams, che proviene da The Wire e Boardwalk Empire) – dall’altro le incrocia a suggestioni vagamente sci-fi, in un video che si assoggetta, come mai prima per Seret, alle marche di un’estetica vistosissima, in cui il dato cromatico risulta spiccato, così come la resa delle atmosfere e delle geometrie degli ambienti. Un realismo visionario, quello di questo lavoro, che si fonde alla perfezione con le atmosfere del brano e in cui trova posto anche una deviata, per quanto sporadica, performance.
Menzione alla portentosa direzione della fotografia di Bradford Young.
Voto: 8.5

Sam Pilling

Cosa è venuto a fare quest’uomo in città? Perché un’auto lo sta attendendo? Dove si dirige? Chi è la donna che vediamo in montaggio alternato? Tutti interrogativi che si accumulano nel corso della visione di Pretty di The Weeknd e che troveranno nell’imprevisto finale (ralenti enfatizzato: da paura) la loro risposta.
Bellissima narrazione sospesa, tra le migliori quest’anno, e concreta regia di Sam Pilling che dirige lo sguardo tra gli spazi urbani in cui si muove il protagonista (Collateral di Mann è dietro l’angolo) e gli interni della casa in cui agisce la donna. Esplicito (sempre di più, soprattutto gli artisti meno legati alla diffusione massiccia, osano nudità e tematiche NSFW alla faccia dei filtri di YouTube – che alla fine, quasi sempre, approva -), sottilmente ironico (i fiori che vengono acquistati…), decisamente scorretto.
Voto: 8
Di Pilling anche il video-duetto tra The Weeknd e Drake, Live for.

LAMAR+NIK

Altri due video per L+N: la seconda collaborazione con i Pixies, dopo il fortunato Bagboy, si intitola Indie Cindy, storia torbida prima visionata all’incontrario, poi nel verso giusto; cambiando le prospettive si smentiscono le impressioni iniziali. Gioco che verte sulla manipolazione della narrazione che si materializza nel videonastro reso evidente.
Voto: 7
Molto efficace il secondo lavoro, Recollection [foto] dei Keep Shelley in Athens che ribadisce la nota politica del duo: registro visivo quasi documentaristico con virata poetico-visionaria affidata a un effetto tanto semplice quanto efficace: delle bolle di sapone. Nella scuola abbandonata una madre che ha perso la figlia vaga tra rovine e macerie: la vita che animava quei luoghi è evocata da fantasmi di memoria, ricordi come ectoplasmi (le bolle appunto, e proiezioni video su pareti) che svaniscono nell’aria così come sono apparsi. Tutto estremamente semplice (nessun effetto speciale, nessuna sovrapposizione in post-production), per un esito vibrante e delicato. Voto: 8
Per entrambi la fotografia è di Spenser Sakurai.

Raf Reyntjens

Papaoutai (papa où tu es? – papà dove sei), canzone di Stromae, dedicata al padre morto nel genocidio ruandese, diventa un video diretto dal geniale regista belga Raf Reyntjens (già autore della variazione sul classico di Dougal Wilson Satisfaction di cui si disse qui). Il padre è una presenza/assenza che abita le situazioni del piccolo protagonista, in una scenografia/mondo anni 50 che ospita strampalate coreografie (di Marion Motin) e riproduce la quotidianità del ragazzino che, stanco di non riuscire a interagire col padre-manichino, si sintonizza con lui mimandone l’immutabilità. Dramma agrodolce e ironia surreale per una delle visioni più folgoranti e deviate dell’annata (decine di milioni le visualizzazioni).
Voto: 8

Nabil

Prolificissimo Nabil, gira sul Lago di Como l’emozionante dichiarazione d’amore eterno di John Legend a Chrissy Teigen (All of me: in quelle ore e in quei luoghi si celebrava il loro matrimonio), atmosferico bianco e nero, tutto ralenti e giochi di riflessi – letterali e intimistici – tra verità e messa in scena (e a nudo) della stessa; non pago insiste con Out of the Woods dei Foals [foto], che conferma la sua vena più oscura, molto sollecitata negli ultimi tempi, quella che intreccia, a una storia leggibile, elementi di difficile decifrazione che turbano nel profondo. Sono oramai facilmente riconoscibili i filoni sui quali ama muoversi il grande regista e il modo in cui ama alternarli in base agli artisti con i quali collabora o in considerazione dell’atmosfera dei brani. In questo caso le oscure presenze che abitano la vita della protagonista, apparentemente sdoppiata su un duplice binario temporale, sono evocate prima dal montaggio serrato, che gioca su fratture e lampi di immagini, ralenti e accelerazioni, con camera che si muove sul volto in soggettiva e uso espressionista delle luci intermittenti, e solo alla fine sfocia in una manifestazione aperta (gli ultimi, rabbrividenti momenti della clip). Nel mezzo Nabil piazza anche la performance incidentale (caratteristica di tutti e tre i video consegnati al gruppo questa stagione).
Difficile arrivare a un’interpretazione esaustiva, come sempre Nabil segue percorsi molto personali e propone enigmi a cui ciascuno spettatore darà la sua soluzione.
Un po’ in automatico, ma che classe.
Voto (a entrambi): 7.5

Hiro Murai

 

E’ molto in linea con i tempi la progressione in avanti (che rimanda a certi deliri pischedelici anni Settanta) firmata Murai, essendo tanti gli esempi che si possono fare di registi che, di recente, hanno adottato la stessa soluzione visiva (WiLson e Courtes, tanto per fare nomi). In High Road dei Cults Murai la vira su un bellissimo bianco e nero e vi innesta la performance mischiando mystery e onirismo. Il risultato, nella sua enigmaticità, è efficace perché riesce, muovendosi in un ambito non originalissimo, a dire qualcosa di nuovo, pur rispettando le caratteristiche “clippare” dei Cults, duo che non sbaglia mai un video e che, pur alternando i regist(r)i, mantiene coerente la sua politica: non rinunciare al proprio presenzialismo (la performance è sempre d’obbligo), ma associandolo sempre a una calzante narrazione o, come in questo caso, a un concetto pagante.
L’inconscio è una galleria che si imbocca su un’auto che si muove senza conducente: ci si addentra in sé e poi si torna indietro.
Voto 7.5

Primedonne

– Vincent Haycock abbandona il set di Pour it up e modula un tweet. Rihanna si incazza e cinguetta di suo [visualizza]. La star si appropria della regia del video e non si ferma di fronte a niente. Che le vai a dire.

– Cortometraggio diretto da Madonna e Steve Klein: affermazione di principio, rivendicazione di un’estetica e di una politica (quella del pistolotto). secretprojectrevolution mette il punto sulla i della parola Storia. Tutte le altre sono leggende indimostrate.

– Britney Spears alza la posta e sfodera la sua tenuta da dominatrice: quando il gioco si fa duro… Work Bitch è diretto da Ben Mor. Girato a Malibu, è l’ennesima clip acclamata come la più costosa della storia dopo Scream  di Michael e Janet Jackson, diretto da Romanek.

– Meravigliosa semplicità: Lovers in the parking lot di Solange (che sta seguendo una politica video di cristallina coerenza) è un gioiello la cui regia reca le firme della stessa Solange, Peter J. Brant e la riconoscibile Emily Kai Bock.

– Pochi sanno maneggiare le icone come Terry Richardson: Wrecking Ball di Miley Cyrus ne è l’esaurientissima, esaltante dimostrazione.

Altre amenità

– Fatto per essere amato il video che Daniel Sannwald ha girato per John Legend, Made to love, appunto, in cui i corpi si plasmano in forma amorosa. Progetto creativo dell’ubiquo Yoann “Woodkid” Lemoine [foto]

– Gli Arcade Fire ci fanno sapere, in ogni modo, che c’è un loro disco in circolazione. Il video di Reflektor diretto da Vincent Morriset, lanciato in una versione inutilmente interattiva, nel suo splendido, mantrico procedere, fa impallidire la strombazzata e brutta clip di Anton Corbijn per lo stesso brano.
Poi c’è anche Here Comes the Night Time, tre canzoni per una ventina di minuti di videomusica diretta da Roman Coppola. Dell’ansia di passare inosservati.

– Statistiche di una vita di coppia in Afterglow di Wilkinson per la regia del parigino Remy Cayuela. Decisamente ben fatto, con un’unica idea, ma articolata con creatività. Lo stesso dicasi per il video di Dizzee Rascal/ Re Sole I don’t need a reason diretto da Emile Sornin.

– Le infatuazioni di un ragazzino e i primi turbamenti nel contatto con il mondo adulto: Abteen Bagheri non smentisce la poetica del suo sguardo in Let Down di Bored North.

– Scorrettissimo quanto divertente questo Bad reputation dei Bass Drum of Death, regia di wilcoxsessions. Tosta la bimba.

– Mark Klasfeld per Justin Timberlake live: Take back the night

– Diane Martel in piena ascesa riduce alla serie Z i Franz Ferdinand di Evil Eye. Imperdibile florilegio di atrocità.

– Continua il sodalizio tra Gesaffelstein e il duo registico Fleur et Manu: Hate or Glory ha una narrazione semplice, ma giocata su un’idea di grande forza che sostiene scrittura ed espressività visiva. Fotografia di Michael Ragen.

– Altra bella narrazione, splendidamente girata, quella di Anthony Dickenson per Breathe This Air di Jon Hopkins.

– Il bianco, il nero: vecchia storia. Out of my Sight di Mika Sade, Dirige Jonathan Vardi.

Ultima ora – Wolf Haley

Tamale, il meta-video diretto dallo stesso Tyler the Creator. Nice job, ha sentenziato Nabil.