TRAMA
Raniero e Fosca, Giovannino e Valeriana, Ivano e Jessica: tre viaggi di nozze “problematici”.
RECENSIONI
Run for cover: in (cosciente?) ossequio alla massima hitchcockiana, dopo l’ambizioso e non del tutto riuscito PERDIAMOCI DI VISTA! Verdone torna alle origini con una galleria di maschere (pochissimo) carnevalesche che richiama quelle dei primi film, BIANCO ROSSO E VERDONE in particolare. Ma l’ambizione non viene meno: fin dai titoli di testa (che illustrano la preparazione e l’imprevista esplosione di una torta nuziale) emerge con chiarezza l’intenzione di riutilizzare il repertorio per ripensare non solo il gioco dei caratteri (tragi)comici, ma il ruolo stesso del film a episodi. Le maschere di VIAGGI DI NOZZE sono (vorrebbero essere) ritratti non troppo infedeli di aspetti dell’Italia odierna: le coppie (appartenenti rispettivamente all’alta borghesia con pretese aristocratiche, al ceto medio e a un ambito decisamente parvenu) formano un trittico “esaustivo” cui la virtuosistica e soffocante presenza di Verdone – attore dovrebbe fornire coesione. Castigare i costumi ridendo: questo l’obiettivo fin troppo palese, quasi del tutto mancato. Lo script rimastica, con frustrante insistenza, poche e prevedibili gag incentrate sulla soffocante diffusione dei cellulari e più in generale sull’invadenza delle risorse tecnologiche (la luna di miele di Giovannino e Valeriana, rovinata da telefoni, altoparlanti e macchine fotografiche che riproducono una crudele realtà familiare); la regia scorre piatta, incapace di mascherare i ciak traballanti (il matrimonio di Raniero e Fosca, col prete che parla e gesticola a soggetto) e di evitare mortificanti tonfi nel farsesco più trito (gli a parte fra Giovannino e il padre). Si salva l’episodio di Ivano e Jessica, screziato di scabra malinconia (il parcheggio lunare, il ritorno a casa a base di ammutolito zapping) e illuminato da una Gerini affascinante e spiritosa, lontana dalle moine che sfoggerà nel successivo IRIS BLOND.
Verdone fa marcia indietro: torna alla comicità e ai tipi buffi degli esordi, intreccia tre episodi e fa il trasformista per rappresentare tic e manie dell'Italia "popolana e romanesca". Come allora (invero, replicando con qualche variante anche gli stessi “tipi”: il coatto, il puntiglioso saccente, il mammone casa e chiesa), il divertimento nasconde una vena amara e disincantata, se possibile con uno sguardo ancor più depresso, non conciliato con dei personaggi cui, un tempo, riservava un sentire affettuoso anche di fronte ai comportamenti più deprecabili. Una critica di costume sull'istituzione del matrimonio e l'incomunicabilità di coppia che è più acre di qualsiasi aspettativa. È difficile trattenere il riso con la gag del prete logorroico, con i "coatti" rockettari esibizionisti buzzurri che continuano a ripetere "Famolo strano", con il sarcasmo nei confronti della sindrome del cellulare che ha colpito l'Italia o di fronte alle sfighe che capitano ai coniugi Giovannino & Signora, ma è la malinconia dell'esplosione della torta nuziale (in apertura) ad avere l'ultima parola. C'è poca differenza fra le coppie sposate di fresco e quelle rodate ma già a catafascio (il padre e la madre di Giovannino, la sorella di lei che tenta il suicidio per amore): la sudditanza totale della moglie (che squallore la scena dell'amplesso raggiunto con la sposa dal dott. Cotti Borboni!), l'inesistenza di interrelazione (i burini) o l'affanno nella ricerca di continue novità non sono una risposta alle barriere. Il cinismo di Verdone "salva" la coppia mite e anonima di Giovannino e Signora, ma non le concede tregua, attorniandola di invadenti parenti serpenti (bello il colpo di scena della lettera della sorella…). Per consolarci, musiche "rock DOC" da buon intenditore: Iggy Pop, Morphine e Black Sabbath.