TRAMA
Chiuse all’interno delle loro macchine, due donne si affrontano in un duello muto che si consuma nella violenza intima degli sguardi. Un duello tutto al femminile punteggiato dal rifiuto di bere, mangiare e dormire; più ostinato del sole di Palermo e più testardo della ferocia degli uomini che le circondano. Perché, come in ogni duello, è una questione di vita o di morte… È una domenica pomeriggio. Lo scirocco soffia senza pietà su Palermo quando Rosa e Clara, si perdono nelle strade della città e finiscono in una specie di budello: Via Castellana Bandiera. Nello stesso momento, un’altra macchina guidata da Samira, dentro la quale si ammassa la famiglia Calafiore, arriva in senso contrario e penetra nella stessa strada. Né Rosa al volante della sua Multipla, né Samira, donna antica e testarda al volante della sua Punto, intendono cedere il passo l’una all’altra, mentre la famiglia Calafiore rientra all’interno della palazzina abusiva nella quale abita e prepara, con la complicità della gente del quartiere, una scommessa su chi tra le due donne terrà la sua posizione più a lungo. La sera arriva, poi la notte penetra nella strada e nelle case del quartiere, ma le due donne, resistendo alla fame, al sonno e alla sete, sembrano obbedire a un’ostinazione che non ha più niente di razionale, e continuano a non cedersi il passo…
RECENSIONI
Partono da punti diversi, in una città labirinto, le storie delle due donne protagoniste - una vecchia madre di Palermo che ha perso la figlia, una figlia in conflitto con la madre/Palermo - e si incrociano sulla strada in cui ciascuna deve e vuole passare. Nessuna cede il passo, nessuna fa marcia indietro, sono di fronte l'una all'altra e si scrutano dentro: la metafora di due generazioni in conflitto che non recedono dalle loro posizioni, che danno fondo alla testardaggine di una convinzione che si è radicata, è quella della terra nella quale sono nate e cresciute, laddove, a un certo punto, questa è stata abbandonata, da un lato, sopportata e subita dall'altro. Anche se non lo sono, le due donne di fatto rappresentano, reciprocamente, la madre che non si vuole andare a trovare e la figlia che si è persa, e sostanziano, agli occhi dello spettatore, il simbolo del rapporto tormentato con le origini.
Il richiamo al genere (il western, con la sfida a distanza sotto il sole cocente, occhi di ghiaccio che si incrociano) è pura suggestione cinematografica, ché tutto si gioca sul piano della rappresentazione di un mondo attraverso icastici particolari, volti, espressioni, gesti, maschere. Emma Dante, sublime donna di teatro, ribaltando dunque la prospettiva del palcoscenico - dove predilige invece campo lungo, rappresentazione del totale, equilibrio di insieme - propone le formule, i loop tipici dei suoi lavori teatrali, ma spogliandoli del loro artificioso apparato scenografico, piuttosto intridendoli dell’afrore, della polvere, degli umori e dei suoni della Palermo reale, sublimati in un gioco di lirismo realistico, in mini-sipari che si aprono e chiudono nel proscenio della strada in cui si determina il cul de sac, che si rifrangono negli abitacoli delle auto, nelle soffocanti cucine delle case abbarbicate al colle.
Flash di vita (quegli scatoloni con i falsi capi firmati) ai margini della società-bene e della legalità, violenza che scoppia e si soffoca senza interventi dell’autorità (siamo in una terra di nessuno in cui lo Stato non esiste), narrazione-evocazione (l’album di disegni che viene sfogliato) che concentra tutte le contraddizioni ancestrali di un ambiente e che culmina in un bellissimo finale, potenzialmente infinito.
