TRAMA
Il film di Tulse Luper Vertical feature è andato definitivamente perduto e il suo autore misteriosamente scomparso: in esso Luper esponeva gli effetti dell’apporto sintetico dell’azione dell’uomo sull’ambiente. L’IRR ne commissiona un remake, ma…
RECENSIONI
Peter Greenaway:
«Col cinema non puoi essere reale: devi prendere decisioni sulla forma e sull'artificio per ciascuna delle 24 immagini al secondo».
«Ai miei occhi il cinema non ha niente a che vedere con la realtà, non può captarla, ma solo imitarla superficialmente. La ricerca della realtà è una perdita di tempo».
«Vertical Features Remake introduce la famiglia Luper, rafforza il piacere del "film-catalogo" che porta a individuare delle differenze nelle rassomiglianze, fissa la maggior parte delle caratteristiche del mio vocabolario cinematografico».
Film teorema sotto forma di divertimento borgesiano, VFR è un trattato ironico che esprime molti dei punti chiave del modo di concepire il cinema da parte di Peter Greenaway.
Nel film Vertical feature Tulse Luper studia l'impatto umano sull'ambiente organizzando, in forma di immagini, vari elementi verticali presenti nel paesaggio (pali, alberi, muri etc.). Lo studio è ritenuto tanto fondamentale dall'Istituto di Restauro e Recupero (IRR) che, a fronte della sparizione del documento, ne commissiona un remake. Tale remake - che parte dai materiali filmati e dagli scritti che Luper ha lasciato - sarà solo il primo di una serie; al termine di ciascuno di esso, infatti, si innesca puntualmente una polemica tra esperti e studiosi: perché non ci si trova d'accordo sulle modalità del restauro del filmato, perché si dissente sul modo di strutturare il materiale, perché col passare del tempo si rinvengono nuovi appunti di Luper che inducono a organizzare in modo diverso il lavoro. Ogni tentativo di rifacimento è, di fatto, una differente versione di un'opera sconosciuta che, si sospetta verso la fine, forse, non ha mai visto la luce [1].
Il film, utilizzando anche materiale pittorico dello stesso regista (riflessioni iconografiche sul paesaggio, eredità della sua infatuazione per la Land Art) in cui gli elementi verticali vengono a rompere la banalità delle linee orizzontali degli scenari naturali rappresentati, rinviando alle griglie e a un concetto centrale per l'artista-pittore Greenaway, quello dell'inquadratura, presenta, con la pedanteria tipica del trattatello, i quattro remake; espone, nelle forme del falso documentario, i modi in cui si è deciso di strutturare il materiale e le ragioni per le quali si sono usate delle date modalità di ordinamento delle immagini, sempre facendo presente che quella che vediamo è un'ipotesi, una possibilità, una versione eventuale di un fatto. E sempre instillando l'idea in chi guarda che di quel fatto, per quanto ci si affanni, non si potrà mai restituire una copia fedele.
Le musiche principali (che vengono utilizzate, com'è abitudine del regista in questo periodo, come elemento ossequiante la struttura utilizzata per coordinare le immagini) sono di Michael Nyman, con un tema di Brian Eno (IRR Title-Music).
[1] «Casteney dichiarò che le presunte fotografie di Luper, ritraevano in realtà il suocero del montatore del film. Rastelin mise in dubbio l'esistenza stessa di Tulse Luper, e realizzò un film Il lupo onnipresente, allusione al fatto che Tulse Luper era stato inventato dall'Istituto per potersi aggiudicare il progetto che si era rivelato un puro esercizio accademico di montaggio».
La voce narrante