TRAMA
Joy vive a Manila con la figlia Angel di sei anni e il marito Dante, un piccolo criminale. Come spesso accade, una sera l’uomo torna a casa ubriaco e picchia la moglie selvaggiamente. Stavolta però, fa del male anche ad Angel. Finalmente, Joy va con la bambina al posto di polizia per denunciare il marito e mandarlo in prigione; scopre tuttavia che la giustizia nel migliore dei casi è lenta, a volte persino impossibile da ottenere. Non senza motivo, sente che lei e la bambina sono sempre più in pericolo.
RECENSIONI
Il regista filippino Raymund Ribay Gutierrez, alla sua opera prima e sotto la tutela di Brillante Mendoza in veste di produttore esecutivo, utilizza lo strumento cinematografico per porre l’attenzione sulla violenza domestica, la maggiore forma di abuso nel suo paese, e sulle conseguenze di un’azione legale per chi ne è coinvolto. L’ispirazione viene dalla storia vera di una donna che ha deciso di abbandonare il percorso giudiziario dopo una denuncia per violenze subite. Con uno stile quasi documentaristico, che predilige tinte livide, suoni d’ambiente e macchina da presa a mano, il film si concentra sulla ricerca di giustizia da parte di una ragazza che all’ennesimo attacco con pugni e calci da parte del marito, in grado di ferire anche la piccola figlia di 6 anni, vuole estromettere definitivamente l’uomo dalla sua vita. L’opera segue il suo calvario attraverso iter burocratici sempre più complicati per costi, modalità e tempi. Una somma di variabili che paradossalmente produce un risultato opposto alle intenzioni, con la vittima scoraggiata e il colpevole vicino all'impunità.
La sceneggiatura sceglie un andamento lineare e segue la progressione della vicenda entrando nel quotidiano dei personaggi e sviscerando la vicenda sia dal punto di vista della moglie, determinata ma schiacciata dai cavilli della burocrazia, che del marito, sfacciato, arrogante e nemmeno consapevole di avere agito in modo sbagliato, ma dagli stessi cavilli invece aiutato. La regia si fa invisibile e adotta un approccio il più diretto possibile finalizzato a dare voce ai fatti. La macchina da presa rincorre i personaggi con un ritmo concitato e incalzante, l’azione è costantemente caotica e disturbata (tante persone, maltempo, lingue diverse che si intrecciano), perfetta metafora di una complessità crescente e priva di sbocchi a tutela dei più deboli. Le caratterizzazioni sono piegate alla tesi che il regista intende veicolare ma risultano credibili e ben contestualizzate. Uno di quei casi in cui il cinema diventa specchio di una contemporaneità problematica e in cui la forma asseconda con efficacia il contenuto attraverso un approccio realistico. Il fine è ovviamente quello di sensibilizzare una platea quanto più ampia possibile.
Il film è stato presentato al Festival di Venezia nella sezione Orizzonti dove ha vinto il Premio Speciale della Giuria.