TRAMA
Un omicidio senza movente, una donna abbandonata senza ragione, alcune manifestazioni di violenza gratuita: questa la torrida estate di Golia.
RECENSIONI
Accostando, senza soluzione di continuità e ben lungi da una canonica coralità centripeta, più eventi (un presunto omicidio, un abbandono, violenze perpetrate da due soldati in libera uscita) e differenti personaggi, Verano de Goliat spezza il confine tra “realtà” e finzione obbligando lo spettatore a sospendere non soltanto, come d’uopo, l’incredulità, ma a superare l’interrogativo stesso che lo statuto delle immagini fa sorgere. Con una forza e una coerenza di sguardo impressionanti, come dimostrano i piani sequenza ostinati e ritornanti della complessa memorizzazione di un testo scritto o gli agghiaccianti dieci minuti finali della regressione allo stato animale di una delle protagoniste, con tanto di emissione di suoni inarticolati (un puro momento di cinema “altro”), il messicano Nicolas Pereda, classe 1982, utilizza il sottotesto narrativo, potenzialmente “dinamico”, come sfondo vago e liquido di un racconto umanista e umanizzante imbevuto di tempi morti e di coazioni a ripetere, di interviste che opacizzano i fatti e i loro protagonisti invece di illuminarne i contorni. In qualche minuto, Verano de Goliat riesce a rovesciare il valore apodittico delle immagini pseudo-documentarie o documentarie e a restituirci, nelle sue contemplazioni di situazioni e parole criptiche, il mistero di una persona, della persona, in tutta la sua tragica e violenta evidenza.