TRAMA
Dopo un fallito suicidio, Dawn viene mandata in viaggio dallo psichiatra, per recuperarsi. Torna in una vecchia casa di famiglia, vicino al mare. Pesantemente sedata da medicine e alcool, Dawn cerca di decodificare la sua esistenza attraverso le pagine di un diario. Camminando sulla spiaggia deserta, trova una morente creatura marina. All’inizio ne prova disgusto, ma poi la porta a casa e la “resuscita”.
RECENSIONI
The Addiction
Dawn è una ragazza particolarmente segnata dalla vita. Dopo la morte del fidanzato, un aborto spontaneo e un tentato suicidio, cerca di recuperare il perduto equilibrio psichico tornando, da sola, nella vecchia casa di famiglia. Le giornate scorrono senza particolari accadimenti, tra lunghe passeggiate in riva al mare, l'àncora di un diario a cui affidare le proprie emozioni e l’aiuto di psicofarmaci. Ma un giorno Dawn trova sulla spiaggia una strana forma di vita. L'apparenza è mostruosa, sembra un informe pezzo di carne, una sorta di feto abbandonato con un vischioso orifizio capace di secernere una muco gelatinoso. Il film dell'inglese Andrew Parkinson è tutto giocato sul rapporto tra la protagonista e la bizzarra creatura. È un rapporto quasi simbiotico quello che si stabilisce tra i due, perché l'essere finisce per racchiudere tutto ciò che Dawn ha avuto e poi perduto. Un po' figlio e un po' amante. Il mostriciattolo si lascia coccolare e grazie all'amore ricevuto è in grado di crescere. È molto ricettivo e pur nell'immobilità (non ha gambe né braccia) percepisce l'energia sessuale che lo circonda, traendo nutrimento dalla passione altrui. È una lenta progressione quella che si stabilisce tra le due diverse solitudini entrate miracolosamente in contatto. Un faticoso cammino di guarigione che attraverso la morbosità di una dipendenza carnale/affettiva e il suo superamento permette di raggiungere una nuova consapevolezza. Il film cresce gradualmente insieme al disagio e alla messa a nudo della psiche disturbata della protagonista e non è mai gratuito nelle lunghe sequenze in cui Dawn mostra l'iniziale repulsione vinta da una irrefrenabile attrazione. Non tutto è chiaro, soprattutto nell'epilogo, dove si mescolano indistintamente realtà e allucinazione, ma la credibile interpretazione di Olivia Bonamy e le tracce di un dolore sincero lasciano un forte senso di inquietudine. Un'ulteriore tappa nel nero delle pulsioni, quindi, supportata a livello visivo dai differenti formati del girato e da una regia capace di mantenere costante la tensione verso la protagonista e i suoi cupi fantasmi.