Drammatico

VENTO DI TERRA

TRAMA

Napoli. Vincenzo, sedici anni, dopo la morte del padre si impegna per evitare lo sfratto che lascerebbe l’anziana madre in mezzo alla strada: arruolatosi nell’esercito viene assegnato alla campagna militare in Kossovo.

RECENSIONI

Oggi le guerre si svolgono in posti caldi come Africa e Palestina. Il vento che soffia da terra accentua il senso di oppressione, è qualcosa che non dà respiro, che schiaccia contro il muro e non regala orizzonti.
Vincenzo Marra

Talvolta è bello osservare il nostro cinema spoglio da messaggi ed imbarazzanti proclami: volendo VENTO DI TERRA è opera morale ma non moralista, ha molto da dire ma non lo urla volgarmente nelle orecchie bensì bisbiglia, con voce strozzata quasi, come se un dolore inconsolabile le impedisse perfino di parlare. La m.d.p., seguendo un percorso apparentemente scheletrico, esegue un’operazione ricercata ed essenziale: purificando lo sguardo da oggetti superflui imbraccia una consegna di realismo e, riflettendo sulle pedine e ciò che vi è attorno, non offre mai alcun segnale tangibile per codificare la virata narrativa. La curva del racconto compie dunque un percorso sottotraccia e finisce per esplodere con devastante rimbombo: il collasso del padre nella notte, restituito attraverso lo sguardo sbarrato dritto sulla cinepresa, è roba che fa male sul serio, più distruttiva di tante vacue parole. Un ritratto d’ambiente plasmato con pochi tratti ma intensi, che può apparire semplicistico ma nell’insieme si rivela di rara efficacia (l’agglomerato urbano ripreso dall’alto), tesse puntigliosamente il reticolo del suo autore: Marra, ottimo direttore di attori, maneggia a dovere la semplicità del simbolo (i militari italiani che si riflettono nei civili kossovari) e possiede l’accortezza di inserire la dissolvenza tramica nel posto giusto al momento giusto (la guerra c’è ma non si vede). La linea(rità) del racconto esplode nella stretta al cuore del finale, inaspettata e dirompente, dove il volto dell’impeccabile Pacilli scatena una smorfia di rabbiosa decadenza; la chiusa giunge al colmo della paralisi, ché il soffio del vento non ha portato da nessuna parte ed inutile è ormai azzardare il movimento, restando soltanto la dolorosa fissità della catatonia. In tutto questo il regista non rinuncia alla comunicazione, con invidiabili coerenza e compattezza, senza temere affatto di urtare il suo spettatore; niente svago per chi affronterà questo VENTO DI TERRA ma groppo alla gola, una lancinante deriva periferica dove calarsi sarà più che mai doloroso. Se il cinema deve far sognare -ruolo discutibile che potremmo contestare a lungo- allora il gioiello di Marra va accuratamente evitato, fuggito come la peste per distogliere lo sguardo da ciò che sappiamo ma non vogliamo vedere.

Con "Tornando a casa" Vincenzo Marra raccontava una storia toccante e originale di pescatori ed emigranti clandestini. Con "Vento di terra", ambientato a Napoli, affronta con spirito sincero, ma troppi luoghi comuni, il genere "Sud degradato senza speranza". Nel film e' concentrato tutto il peggio che possa capitare: lo sfratto, la disoccupazione, il tentato suicidio, le molestie sessuali, la malattia, la disperazione, la solitudine. Purtroppo il copione affianca i fatti con tale meccanicita' da renderli prevedibili. Inevitabile che l'importante critica sociale sottesa al lungometraggio ne risenta, provocando una contro-reazione di impermeabilita'. Ed e' un peccato, perche' ormai in tanti hanno dimenticato i danni dell'uranio impoverito presente in Kossovo, ma la sceneggiatura non supporta a sufficienza la tesi del film. In questo senso Marra fa un passo indietro rispetto alla riuscita opera di debutto e pur dimostrando di saper governare la macchina cinema (la descrizione della vita militare e' molto realistica), anche attraverso la scelta di interpreti adeguati e ben 
diretti (il giovane Vincenzo Pacilli e' molto espressivo), lascia che la rabbia prevalga sull'equilibrio del racconto. Sono troppi i film italiani che limitano la denuncia a una successione di disgrazie con finale greve. 
Il rischio di una sovraesposizione poco problematica del degrado e' l'assuefazione. E il film di Marra lancia schegge di provocazione (sempre le solite) ma non approfondisce granche'.