TRAMA
Venerdì sera. Laure sta traslocando e, lasciato l’appartamento per recarsi a cena da amici, rimane bloccata nell’ingorgo stradale causato dallo sciopero dei mezzi pubblici.
RECENSIONI
Nel traffico di Parigi
Spacca pubblico e critica questo splendido film della Denis: divide perché estremo nel portare avanti la sua idea di rappresentazione di un mondo al femminile attraverso la descrizione di un momento, di uno stato d'animo legato a una circostanza precisa (Laure sta traslocando, comincia una nuova vita col suo compagno) e nel farlo senza concessioni, puramente e semplicemente, lasciando che questo mondo emerga dai gesti, dai mugugni, dai commenti sottovoce e dai monologhi di una donna sola coi suoi pensieri. Ciò avviene nella lunga parte iniziale in cui il traffico parigino si trasforma, nelle mani della regista, in una suggestiva galleria di ritratti e in cui in primo piano è un flusso di riflessioni che intuiamo intenso per una promessa di felicità forse troppo annunciata, un trasloco, un cambiamento in atto, un momento di svolta nel quale tutto sta cambiando. Un animo, quello attuale di Laure, più mobile, meno rigido (anche se il timore iniziale per quella bussata al finestrino - Gregoire Colin, attore feticcio della regista qui solo in comparsata - dimostra che certe resistenze ci sono ancora e attendono solo di dissolversi) e che è quindi più docilmente avviabile verso il mero piacere, la scopata improvvisa con un uomo affascinante incontrato casualmente, l'uomo che ha interrotto quel torrente di pensieri e che ha aperto alla donna le porte dell'avventura sessuale alla quale associare sogni e fantasie, una vita nuova, diversa, più viva. La sinfonia dell'ingorgo stradale, una Parigi intasata (perché si sa, queste cose avvengono solo nella Ville Lumière) in cui ciascuno dà una mano a chi è in difficoltà, diventa ovattato e lontano ronzio tra le pareti dell'albergo ad ore in cui i due fanno l'amore e in cui il film, se possibile, si radicalizza ancor di più, con uno sguardo che si focalizza sui dettagli insistiti dei corpi, una serie di quadri anatomici affascinanti. L'equilibrio tra la volontà di rappresentare visivamente una situazione e la narrazione della situazione stessa (non possiamo neanche dire di una storia), con delicate divagazioni surreali, è ammirevole: la Denis non sbaglia nulla, a chi sbadiglia rimane la via della fuga, a chi resta in sala la soddisfazione di godere di una delle poche perle del festival di quest'anno.

Un uomo ed una donna si incontrano in un ingorgo, nell'umidità serale lui è a piedi e lei offre un passaggio, chiacchierano, con poche parole poi cambiano i piani (almeno Laure) ed in un albergo fanno l'amore, mangiano in pizzeria e tornano alla loro camera.
Quanto poco basta per fare un capolavoro quando c'è stile da vendere. Una moltitudine di dettagli, di prospettive e punti di vista forniscono alla Denis il materiale per costruire, dipingere a rapidi tratti nono solo una storia ma una condizione esistenziale tutta. La vita di Laure è ad una svolta si intuisce dalle brevi immagini mentali e dalla lentezza con cui inscatola le sue cose nell'appartamento silenzioso, nella solitudine della macchina immobile tra altre vetture ascolta la radio ed incontra un uomo che non conosce ma che la attrae fisicamente: cosa quest'incontro causerà nella sua vita rimane oscuro (forse infila un biglietto nelle giacca di lui prima di sparire) ma è la silenziosa gioia di riscoprirsi viva ad essere l'unico impulso di valore.
Vetri bagnati e penombre, un vagare senza meta, "freddo fuori, caldo dentro" è quanto dice la regista, ad una prima parte dei glaciale perfezione ne segue la seconda fatta di corpi e di silenzi che non si bada di riempire, un passaggio che conduce allo scavalcamento di un pudore tra individui che, pur privo di senso, domina ogni relazione ma che viene a cadere fronteggiando l'ignoto, la maschera di quello che si spera ed attende. La presenza dei corpi, innanzi tutto, il tempo che passa e le parole che si fanno rade e timide scacciate dalla presenza fisica, dei due protagonisti in chiara e reciproca tensione e degli oggetti: i dati di fatto, mostrati nitidamente od anche solo allusi pesano nella macina che produce un movimento che è minimamente tramico e incredibilmente emotivo.
Parlare di questi uomini o "degli uomini" alla Denis non importa, capace di astrazioni sublimi ma pure così vicina ai corpi.
Come ombre Claire Denis e Agnes Godard (l'opeatrice) si attaccano a Vincent Lindon e Valerie Lemercier, compongono brevi tasselli fisici che magicamente si fondono.
