Drammatico, Recensione

VEGAS: BASED ON A TRUE STORY

Titolo OriginaleVegas: Based on a True Story
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2008
Durata102'

TRAMA

Eddie Parker e sua moglie Tracy, operai, conducono con il figlio dodicenne una tranquilla vita nei sobborghi della capitale americana del divertimento: Las Vegas. Eddie, che ha il vizio del gioco, non ha mai vinto somme importanti e Tracy, che si prende cura del piccolo giardino, fa di tutto per tenere unita la fragile famiglia. Un giorno però si presenta uno sconosciuto. L’uomo si mostra particolarmente interessato alla loro casa: sostiene che abbia un che di speciale e fa un’offerta a cui non si può rinunciare…

RECENSIONI

L’ultima ossessione di Naderi vive del vuoto assoluto; persino la vana antifrasi del titolo ne intesse l’amara ironia: finzione e realtà sono oggetto di scambio tra Las Vegas (presenza reale, ma falso mito) e una storia vera (il fatto è sì preso dalla cronaca, ma allo stesso tempo si muove su un avvenimento tutt’altro che reale). Nella sua natura spettrale la città del Nevada non ha bisogno di essere penetrata, basta la sua presenza sullo skyline, l’emissione di luce che ne proietta le metastasi. Il contagio dei Parker è inevitabile, vittime di un Mito collettivo ormai interiorizzato che oltre l’istituzione famigliare permea la terra, la distrugge con l’illusoria speranza di trovare nelle fondamenta stesse della vita la piu irridente ricerca della felicità. E’ l’ultimo e disperato tentativo dei personaggi naderiani di salvare la propria vacillante esistenza, ormai lontani dalla grande metropoli newyorkese e pessimisticamente abbandonati nella solitudine di una civiltà scomparsa. Il deserto, lo sporco della polvere (aiutato dal digitale nell’uso decolorativo del bianco) evocano un contesto devitalizzato dove solo l’oasi della casa dei Parker, con quell’ improbabile accento di natura che è il giardino, può credersi un miraggio. Un miraggio ben presto inteso come tale nel suo cedere all’avidità e alla follia di Eddie che ne distrugge l’essenza (casomai ce ne fosse una piccola traccia), rincarando l’atmosfera di falsificazione e irrealtà onirica del contesto in cui si trova. Tutto rimanda al cash, l’assillo si ripercuote su ogni oggetto rappresentato, visivo e sonoro. Ad un sottile simbolismo iconografico (i cerchioni delle gomme che risplendono al sole, il maniacale ritorno del numero 3 come la slot-machine iniziale: tre sono i componenti della famiglia, tre le dissolvenza sull’orizzonte di Las Vegas, tre le false tracce trovate sotto terra, tre le prove degli scommettitori per convincere Eddie a continuare nella ricerca), si affianca un estraniante uso dei rumori, tutti evocativi il tintinnio del denaro (lo scacciaspiriti, il martello pneumatico, il metal detector, il forno a microonde). Questo connubio legittima la sospesa atmosfera del film e, paradossalmente, la vivifica. Solo la fame dei soldi, come una droga, dà un’anima ad un contesto già morto in partenza (uno stato della materia rispecchiato dall’assiduo uso di piani fissi, da una fotografia così sbiadita da sembrare anch’essa insabbiata). Ma forse una speranza riusciamo a trovarla nell’opporsi del giovane Mitch, nella sua istintiva consegna dei tre canarini alla giovane amica (metafora di una famiglia che può ancora essere salvata) e nel possibile desiderio di ricongiungersi con i padri (incessante è la sua volontà di trascorrere il tempo nella vecchia casa abbandonata). Speriamo di non cadere nell’ennesimo miraggio.