Azione, Fantascienza, Recensione, Thriller

UPGRADE

Titolo OriginaleUpgrade
NazioneAustralia
Anno Produzione2018
Durata100'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

In un futuro iper-tecnologico ormai poco distante, Grey Trace lavora come meccanico per conservare un contatto materiale con la realtà. Le cose cambieranno dopo che una squadra di uomini potenziati avrà ucciso sua moglie. Reso tetraplegico dall’attacco, l’uomo sarà costretto ad una fusione uomo-macchina per mettere in campo la sua vendetta.

RECENSIONI

Benvenuti nel regno della razza umana


L’intuizione migliore dell’Upgrade di Leigh Whannell è già lì nel titolo – nomen omen –: il tentativo di aggiornare l’orizzonte del cyberpunk, dell’innesto tecnologico, dell’ibrido uomo-macchina. Upgrade attua il passaggio dall’hardware al software, dal macro al micro. Niente più ossa bagnate nel metallo, occhiali a specchio, esoscheletri e induzioni bioelettriche per muscoli ipertrofici; il presente e il futuro appartengono alla macchina invisibile, al codice, all’app. C’è più Steve Jobs che William Gibson nel futuro di Upgrade, dove la sintesi tecnologica non è più tra carne e metallo ma tra mente e silicio e l’aggiornamento si gioca nel core del sistema-uomo: è l’applicazione definitiva da scaricare nel sistema, miglioramento di riflessi, prestazioni e pensieri.
Giocando con gli stilemi del genere – fantascienza certo, ma anche revenge e tanto buddy movie… il protagonista Grey Trace e la sua app senziente STEM non sono forse l’ennesima coppia di opposti sulle tracce di un assassino? – Whannell recupera il tema dell’intelligenza artificiale e lo piega in una formula da cinema low budget in cui tanto viene suggerito, evocato, lasciato ai contorni, in un uso molto intelligente e consapevole delle (scarse) risorse da b-movie messe a disposizione dalla Blumhouse. Del resto Whannell è creatore e sceneggiatore di Saw e Insidious, saghe che ormai hanno annacquato il loro potenziale ma che comunque hanno sempre fatto del loro look artigianale a basso costo un punto di forza. Certo, rispetto all’horror, la fantascienza low budget è altra cosa, richiede inventiva non da poco, ma Whannell riesce bene a donare al film un’atmosfera precisa, fredda e metallica, che investe una metropoli plumbea divisa tra ultra-tecnologia e resistenze analogiche. Le stesse resistenze che animano Grey Trace, meccanico dal convinto spirito anacronista in conflitto con un mondo di dispositivi automatici e comfort avvolgenti, case parlanti e autovetture robotizzate. Sarà proprio lui, con tutta la sua passione per lo sporco lavoro manuale, a rimanere intrappolato nel proprio corpo e a trovare nell’innesto tecnologico l’unico modo di riappropriarsi di sé. Solo che nell’era di Siri, Cortana e Alexa ogni machine deve avere il suo ghost, la sua controparte user-friendly, sempre un passo avanti sulla strada dell’efficienza, della comodità e dell’onnipresenza. Ecco così che un chip ipertech inserito per ripristinare il controllo motorio diventa il cavallo di Troia di un’intelligenza artificiale, un assistente virtuale che mentre guida Grey passo dopo passo ne assume il controllo, ribaltando le gerarchie tra la carne e il silicio in un nuovo rapporto. Eccola la verità rovesciata dell’upgrade e il vero spunto originale offerto da Whannell: è il corpo ad essere ora il nuovo hardware, la risorsa interscambiabile, e non il contrario.
Tuttavia, al di fuori delle suggestioni suscitate dalla sua idea di partenza, Upgrade si rivela un film che, senza pretestuosità, mette al centro della scena un argomento chiave del contemporaneo limitandosi a imbastire una storia fedele alle meccaniche di genere ma piuttosto prevedibile e superficiale. Per questo il risultato finale è semplice e assieme ambivalente, un oggetto filmico che propone ottime intuizioni ma non riesce a esprimersi con la stessa energia del suo soggetto di partenza.