TRAMA
Dopo il massacro di Sétif nel maggio del 1945 le strade di tre fratelli algerini si dividono: Abdelkader, militante anticolonialista, finisce in carcere, Messaoud viene arruolato nell’esercito francese e spedito in Indocina, Saïd si trasferisce a Parigi con la madre e finisce nel giro della malavita gravitante attorno alla prostituzione e alla boxe. Nella capitale francese la lotta per l’indipendenza dell’Algeria li riunirà.
RECENSIONI
8 maggio 1945, Parigi: la Francia esulta per la definitiva resa tedesca che sancisce la fine della Seconda Guerra Mondiale. Stesso giorno, Sétif, Algeria: una folla di manifestanti avanza rivendicazioni indipendentiste e viene massacrata dall'esercito francese. La libertà festeggiata in Europa è ancora un bene da conquistare in terra algerina, la resistenza contro forze nemiche e occupanti ha solo cambiato volto e scenario ma non sostanza, il maquis sfuma nel terrorismo armato anticolonialista. Parallelismo spiccio ma efficace con cui Bouchareb dà il via al suo racconto sulle propaggini in terra francese (la baraccopoli di Nanterre, la fabbrica della Renault, i locali notturni di Pigalle) della guerra d'Algeria (1954-1962) e che verrà pesantemente rimarcato più tardi in occasione di una didascalica sequenza che vedrà confrontarsi su posizioni opposte e riconoscersi tuttavia come simili l'ideologo rivoluzionario Abdelkader e il colonnello ex-partigiano Faivre. Poco prima, in un prologo terroso e bruciato dal sole datato 1925, i tre fratelli protagonisti spossessati della terra dei padri a favore dei coloni avevano visto sancito fin dalla più tenera età il loro status di 'senza patria', condannati ad essere e ad agire sempre fuori legge (Hors-la-loi, recita il titolo originale) di fronte alla prepotenza del potere centrale colonialista. Da qui l'idea di narrare le vicende del FLN come un gangster movie, immerso nei toni cupi di una fotografia noir, richiamandosi (in via del tutto teorica, buona fondamentalmente per dichiarazioni giornalistiche) all'epica leoniana, a L'armée des ombres di Jean-Pierre Melville e alle saghe criminali del cinema americano.
Propositi ambiziosi, realizzazione anodina. Bouchareb lascia le intuizioni allo stadio di intuizioni, appunto, per procedere su un piano di spettacolarità decorosa ma senza stile, da produzione televisiva di lusso. Seguito ideale di Indigènes, inedito in Italia (stessi attori, personaggi con lo stesso nome, storia di soldati maghrebini usati come carne da macello dall'esercito francese durante il secondo conflitto mondiale), Uomini senza legge stenta a imporsi come l'affresco che vorrebbe essere, coniugante rievocazione storico-politica e dramma familiare, penalizzato da uno sguardo schematico, da un fatalismo di maniera e da un disegno dei protagonisti rigidamente tipizzato che li incatena a dei ruoli (l'intransigente leader rivoluzionario sostenitore della lotta armata, l'ex soldato tormentato reduce dalla guerra d'Indocina, il voyou apolitico e opportunista) negando loro un respiro autonomo (e la legnosità di gran parte degli interpreti di certo non aiuta). Nella (ri)lettura di un'epoca e di un tribolato processo nazionale d'indipendenza, pur mai sminuendone gli obiettivi, Bouchareb approda a una condanna fin troppo sommaria della violenza come strumento di lotta (le strategie d'azione del FLN come il terrorismo di Stato, meccanismi disumanizzanti e autodistruttivi), finendo col semplificare in nome del senno del poi (non a caso a sopravvivere tra i tre fratelli sarà quello più disposto alla mediazione con i 'colonizzatori') ben più complesse ragioni politiche. Grandi polemiche in Francia fomentate dalla destra parlamentare francamente degne di ben altro radicalismo cinematografico e politico. Gillo Pontecorvo è distantissimo.