Azione, Recensione, Thriller

UNSTOPPABLE

Titolo OriginaleUnstoppable
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2010
Durata98'
Sceneggiatura
Fotografia

TRAMA

Un treno avanza fuori controllo, ed è pure carico di sostanze tossiche e infiammabili. L’ingegnere Frank Barnes e il macchinista Will Colson cercano di fermarlo.

RECENSIONI

Su Tony Scott si rischia (meglio: rischio) di dire sempre le stesse cose. Ma c’è poco da fare, difficile non vedere, in Tony, una specie di ultimo dei Mohicani. Non ci sono molti altri registi capaci di orchestrare un action classico e funzionante come Unstoppable. Il film è un piccolo grande abbecedario del cinema di puro intrattenimento hollywoodiano, con una trama che procede rettilinea da A a B senza intoppi, deviazioni, binari morti o sorprese, personaggi basici, già scritti dozzine di volte, e un finale conciliante/conciliatorio, previsto in tutti i suoi (pochi) risvolti. E’ soprattutto una questione di forma. Tony Scott è forse l’unico ancora capace di dare un senso narrativo a uno stile cinestesico teoricamente sedimentato. Il suo è un cinema in continuo movimento, con cinepresa iperattiva ma focalizzata, “attenta” al racconto, inquadrature in perenne fuga laterale che non fuggono mai del tutto, zoom impercettibili che portano sui personaggi. E una fisicità inusuale, analogica, con un ricorso minimo (e inavvertibile) alla CGI, treni “veri”, esplosioni “vere”, disastri “veri”. Fa differenza. 

Ne esce magnificato anche l'aspetto meno oggettivamente ricevibile della faccenda, il reparto scrittura. I personaggi, si diceva, psicologicamente non esistono. La vicenda intreccia in modo stantio il fulcro narrativo (il treno fuori controllo con tragedia imminente) con le diramazioni umane e sentimentali (il pivello in crisi con la moglie, il navigato vedovo dispensatore di saggezza), la glorificazione della working class americana è berlusconianamente populista e i 'cattivi' che pensano solo al proprio tornaconto (anche economico) sono stracotti. Tutto considerato, invece, è facile stupefarsi per come questa tempesta di cliché mantenga una sua efficacia o - quantomeno - riesca a non indispettire troppo: quando il redneck arriva a salvare i nostri eroi, a bordo del suo enorme pickup rosso, ci si ritrova a fare il tifo. Ci si fa coccolare dalla vecchia, sclerotizzata Hollywood, vergognandosi un po', ma giusto un po'. Denzel Washington, ormai, è una perfetta maschera scottiana, la coppia Duffy/Lebenzon dà lezioni di montaggio.

Finalmente l’accoppiata Tony Scott-Denzel Washington sforna un thriller adrenalinico e ricco di tensione: Scott può applicare la sua figuratività elaborata (con predilezione per fotografia metallica, macchina a mano, montaggi convulsi e paralleli) ad una trama basica d’azione fisica, quando in altre prove, con soggetti meno lineari da elaborare eticamente/psicologicamente, restituiva canovacci troppo arzigogolati in modo insensato (Déjà-Vu) oppure rovinava trame classiche autosufficienti (Pelham 1 2 3: ancora treni). In questo caso, invece, può andare spedito come un treno, dritto verso la meta, facendo curve su di un rettilineo, rincorrendo, doppiando, sorpassando il binario. Il treno in corsa è ripreso da Scott come un inarrestabile mostro devastatore con anima. La sceneggiatura di Mark Bomback, che gioca anch’essa su binari paralleli, è da manuale: il treno fuori controllo e, ad arginare il disastro, la solita accoppiata uomo d’esperienza/pivello e la centralinista di controllo (Rosario Dawson). In parallelo, scaglie di pubblico e privato dei due salvatori che riconquisteranno i cari (uno la moglie, l’altro la figlia), dimostrando tutto il loro coraggio in seno alla “famiglia”. Corre parallelo anche un sottotesto più politico, dove non paga la strategia aziendale che manda in pre-pensionamento gli uomini d’esperienza a favore dei pivelli. L’antagonista vero, a parte l’iniziale incuria del macchinista che genera il mostro di ferro, è proprio il management che pensa più al rapporto perdite/profitti che alle vite umane.