UNITED RED ARMY

Anno Produzione2007

TRAMA

Febbraio 1972. Cinque giovani militari del gruppo paramilitare Armata Rossa Unita si barricano per 10 giorni in un rifugio sul monte Asama e ingaggiano un conflitto a fuoco con la polizia. Due poliziotti muoiono negli scontri ma le prime vittime dei militanti sono gli stessi compagni: prima dell’inizio degli scontri con la polizia, infatti, quattordici giovani cadono sotto i colpi del fanatismo del gruppo. Un evento che paralizza completamente il movimento studentesco giapponese. (dal catalogo del festival)

RECENSIONI

“Nella mia carriera ho realizzato più di cento film, anche come produttore, ma considero forse United Red Army l’opera più importante, un film che sentivo l’urgenza, come artista, di dover girare.”

Storia dell’Armata Rossa Unita, in tre atti: una premessa folgorante che a rotta di collo affastella dati, volti ed eventi, lo scorrere dei giorni e il parto impervio del movimento; un corpo centrale - ambientato in una cascina, luogo di addestramento/concentramento del corpo rivoluzionario- che è abisso efferato; una risoluzione che s’accosta al lato più umano dei personaggi, ai loro dissidi. In più di 3 ore di film, il documentario sfocia nella finzione, la docufiction si contamina con un’estetica di genere, in una libertà disorientante, annichilente, esaltante: Wakamatsu realizza un vero e proprio film di formazione, dove i personaggi, da meri nomi dispersi nel calderone di eventi imbastito dalla premessa, assumono caratura, lievitano a vite, sfaccettate in contraddizioni, errori, limiti. Per questo il corpo centrale del film, fotografia di un rito di addestramento coatto, dove- in nome di una malintesa purezza ideologica- l’uomo è degradato, torturato, privato di sé allo sfiancante rincorrersi dell’imperativo “autocritica”, risulta ancora più insostenibile: la morte è l’aborto di personaggi in farsi. E’ in questo che United Red Army è profondamente, intimamente, politico: un gesto d’amore scomposto che guarda all’uomo e alla storia con ferocia e pudore, radiografando con enfasi iconoclasta incertezze e paradossi, senza concedersi, nemmeno per un istante, la tracotanza del giudizio. L’esatto opposto di quanto inscena. Il finale, in cui i sopravvissuti si interrogano sulla rivoluzione e le proprie vite è intriso di una pietà e di una verità lancinanti: ai dogmi dell’ideologia contrappongono domande, dubbi, ferite. I personaggi, finalmente, si sono fatti uomini.