Commedia, Grottesco, Sala

UNA STORIA SENZA NOME

TRAMA

Valeria, giovane segretaria di un produttore cinematografico, vive appartata, sullo stesso pianerottolo della madre, e scrive in incognito per uno sceneggiatore di successo, Alessandro Pes. Un giorno la donna viene avvicinata da un misterioso poliziotto in pensione che le vuole raccontare una storia criminale.

RECENSIONI

Che strana filmografia quella di Andò: regista di allestimenti teatrali colti e raffinati (oltre ai suoi, testi di Pinter - un sodalizio -, Reza, Crimp...), per il cinema apparecchia sempre titoli di etichettatura incerta, che partono da concezioni ambiziose, ma non disdegnano azzardi di stile. Una storia senza nome ha un impianto complesso e fa un discorso serio, anche se il tono non lo è, strizzando piuttosto l’occhio al grottesco e alla satira di costume. Personaggi letterari (una ghostwriter e sua madre - scrittrice in incognito anch’essa -, che funge da coscienza critica), intrigo che rievoca fatti storici, livelli che si accumulano (uno sceneggiatore che non scrive più e che si affida agli script della protagonista, quest’ultima che a sua volta si affida a un uomo misterioso, forse un burattinaio, forse no).
È un’opera sul cinema come arte del racconto: ciò che narra lo espone come film e come film nel film, ragionando su verità e finzione, su realtà e riproduzione della stessa (il quadro - che è un riferimento reale: la Natività del Caravaggio trafugata  dalla mafia a Palermo - è falso quando dovrebbe essere vero e vero quando dovrebbe essere falso). Un gioco autoanalitico che, quando sembra arrivare al paradosso, lo rivela confinante alla realtà in modo inquietante. Una storia apocrifa che riempie di fantasia i vuoti (i crimini insoluti, per esempio) che le cronache ufficiali non riescono a colmare, costellato di figure ridicole nella loro tipicità e che per questo pronunciano battute stereotipate. In cui tutti mentono (anche lo Stato), i livelli di impostura si stratificano, le identità si inventano (siamo nella Sicilia di Sciascia e Pirandello), tutto è messa in scena (la vicenda del Caravaggio rubato è stata manipolata dai pentiti che hanno depistato le autorità e condotto le indagini in territori quasi letterari), tutto è dietro le quinte (i protagonisti sono sceneggiatori mica a caso) e in cui persino la politica è eterodiretta, seguendo un copione scritto in fretta e furia.

Andò, nelle fattezze della commedia, fa passare una riflessione appuntita sul contemporaneo, sull’inquietante oggi in cui la verità è sempre meno necessaria.