Comico

UNA PALLOTTOLA SPUNTATA 2 E ½

Titolo OriginaleThe Naked Gun 2½: The Smell of Fear
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1991
Genere
Durata85'

TRAMA

Il tenente Frank Drebin è alle prese con due gravi minacce alla sicurezza planetaria: un complotto ordito da una lobby energetica e la propria sterminata idiozia.

RECENSIONI

Un cattivo, lautamente foraggiato da ricchissimi industriali, minaccia la Terra, ma un eroe di fascino e acume fuori dall’ordinario riuscirà a neutralizzarlo e a soffiargli la donna. Bond? No, Drebin, gaffeur di certificata balordaggine e sfrontata sicumera al servizio (nel senso della toilette) del Presidente Bush (il vecchio… quello sposato con Barbara, per intenderci).
Nel secondo capitolo della serie più sfrenata, debordante, inevitabilmente discontinua partorita dalla premiata ditta Zucker – Abrahams – Zucker, un intreccio poliziesco dei più banali è reso avvincente dall’inesauribile fuoco di fila di gag, invenzioni, battute. Se l’umorismo verbale (anche per colpa del doppiaggio) raramente lascia il segno, lo stesso non si può dire, fortunatamente, delle trovate visive.
Più che un mosaico, il film è un collage libero e disordinato (ma non disorganizzato) di giochi linguistici applicati all’immagine, una sequenza ininterrotta di nonsense, il cui principale motivo d’interesse è costituito dal ritmo incalzante con cui immagini e suoni “assurdi” si presentano all’attenzione dello spettatore.
Le principali figure retoriche che reggono la ridda di sarcasmi, citazioni e sberleffi sono l’accumulazione in funzione di climax e l’iperbole, strettamente intrecciate ad esempio nella scena in cui l’eroina prepara la cena per il cane, poi per il gatto, quindi per le pecore, per i maiali e così via (sullo sfondo, un barrito d’elefanti).
Una caratteristica particolarmente gustosa della pellicola è il fatto che le gag “sono” il racconto, ma non per questo lo cancellano. Lo script fa procedere l’azione, che, per quanto semplificata, esiste, mentre gli scherzi s’inseriscono quasi di soppiatto nel tessuto filmico, ponendosi in un secondo piano che, a tratti, è proiettato in avanti con immediato effetto comico: lo humour si defila beffardamente dietro il thriller solo per ribadire in sordina, in ogni momento, il proprio primato. Durante il colloquio fra il Presidente e i suoi blasonati ospiti, il tenente Drebin è alle prese con un’aragosta, con la quale ingaggia, incurante di tutto e tutti, una battaglia in grande stile: il poliziotto è l’unico a non accorgersi dei disastri che sta combinando, ma i commensali, pur coinvolti nel dialogo, sono man mano sempre più sconvolti (in ogni senso possibile) dalla tronfia goffaggine del “disturbatore”.
Nel mondo, possibile, se non “reale”, di Z – A – Z l’incongruenza è un principio assodato: quello che non si può spiegare non è notato, o è accettato senza discussioni. L’asineria è l’unica fonte di eroismo, i problemi più tragici sono risolvibili in modo lapalissiano (il finale), gli oggetti e le persone appaiono e scompaiono a seconda della loro importanza ai fini delle azioni dei personaggi. Siamo ancora sicuri che sia così distante dal mondo “reale”?
Fra battute scontate e noiosi capitomboli, una sola, autentica perla: “Sogno un mondo in cui i democratici presentino finalmente qualcuno degno di essere votato” (frase per lo meno infelice, se pronunciata in presenza di un Presidente repubblicano).

Ritorna, con lo stesso cast e regista, il tenente di polizia più imbranato, fortunato e combinaguai d’America: la parodia demenziale della ditta Zucker - Abrahams (ma David, stavolta, ha lavorato alla sceneggiatura senza il fratello Jerry e senza Jim Abrahams, impegnato sul set di Hot Shots!) prende di mira i generi poliziesco, noir (con io narrante alla Marlowe) e sentimentale. La regola è non prendersi mai sul serio, giocare con gli stereotipi e le enfasi ridicole, citare storpiando (Casablanca, E.T. con un simil-Perry Mason che si staglia sulla Luna, il vaso di Ghost) ed essere feroci quel tanto (poco) che basta per far vincere comunque i buoni e l’amore, senza essere troppo scorretti o sofisticati (tipo Monty Python). Luogo d’azione privilegiato è la Casa Bianca di Bush e First lady (“massacrata” da Frank Derbin) e qualche frecciata politica non manca (“Spero in un mondo dove i democratici presentino qualcuno degno di essere votato”) e, sotto due o tre metri d’idiozie simpatiche, c’è anche il messaggio ecologista (i cattivi sono magnati del petrolio che contrastano l’energia solare). Leggermente più debole e meno vispo del capitolo precedente ma assolutamente divertente, con gag che sono più di scrittura che fondate sul visivo: la sirena della polizia che esce dall’utero; la sequenza al night per single (con canzone deprimente, da suicidio); l’assegno da 75.000 dollari gettato nel fuoco; il ballo sfrenato fra Leslie Nielsen e Priscilla Presley; la “bella fattoria” di animali domestici in casa; la scena in cui Priscilla Presley si toglie i tacchi e si abbassa di un metro; la cantatina nella doccia con l’assassino; Nielsen con fisico da culturista; gli spot pro nucleare; il montaggio delle attrazioni durante l’amplesso; il cannone costruito da O.J. Simpson; i morenti poco loquaci (un classico del poliziesco: le ultime parole dell’agonizzante), Zsa Zsa Gabor che schiaffeggia il lampeggiante come fece, nella realtà, pochi anni prima con un poliziotto.