Drammatico, MUBI, Recensione

UNA NUOVA AMICA

Titolo OriginaleUne nouvelle amie
NazioneFrancia
Anno Produzione2014
Durata107'
Sceneggiatura
Trattodal racconto The New Girl Friend di Ruth Rendell
Fotografia

TRAMA

Profondamente scossa dalla morte della migliore amica, Claire si riapre alla gioia di vivere dopo una scoperta sorprendente sul marito della defunta, ma in un vortice di segreti, pulsioni inaspettate e doppie identità nascoste, la situazione comincia a sfuggirle di mano…

RECENSIONI

I'm getting out
I'm moving on

And from now on
address unknown
I should be difficult to find
So follow me
just follow me.
(Follow me - Amanda Lear)

Il cliché

Partendo da Ruth Rendell (come Carne tremula di Almodovar o Il buio nella mente e La damigella d’onore di Chabrol) e da un suo breve racconto  - da cui il regista trae solo il nucleo ideativo e i due protagonisti - Ozon disegna un film che sviluppa su una precisa parabola, tendendo a un obiettivo che diviene manifesto a visione conclusa.
La prima parte prepara un terreno convenzionale da terremotare: si fonda su una narrazione piana, in cui i personaggi vengono presentati nelle loro prerogative. Anche la storia si muove su piani netti e leggibili; così il memorabile incipit è privo di dialoghi e ricostruisce in flashback i presupposti della storia secondo canoni della Hollywood degli anni d'oro. Vicende e relazioni tra i caratteri vengono introdotte da sequenze palesemente dimostrative, legate concettualmente l’una all’altra: l’infanzia e l’amicizia delle due amiche; il patto di sangue; gli incontri e gli amori; matrimonio, gravidanza e nascita; malattia e morte; gli stessi attori, in modo smaccatamente inverosimile (l’inverosimiglianza del mélo), interpretano se stessi da ragazzi.

La sovversione

Nella seconda parte tutte le premesse vengono messe in crisi e il film ne propone il sistematico sovvertimento.
Il disorientamento dei protagonisti diviene, programmaticamente, quello del pubblico messo alla prova nelle sue certezze, nelle sue convinzioni e nelle sue aspettative, invitato dunque ad abbandonarle, a prendere in considerazione la questione da una prospettiva nuova, inedita, inaspettata (l’incipit è programmatico: la vestizione nuziale si rivela preludio di un funerale, non di un matrimonio). In questo modo di procedere Ozon palesa l’impegno del film, in questo preordinato smontaggio dei preconcetti, delle convenzioni (soprattutto borghesi, perché borghese è il milieu - una borghesia romanzesco/ cinematografica, con quelle villette con giardino sirkiane scovate in Canada -). Lo fa, per l’appunto, agendo su quegli stereotipi: il rapporto tra le due amiche per la pelle assume letture potenzialmente lesbiche e adultere (Virginia/David è una nuova amica, ma è anche il fantasma di Laura e il vedovo di lei); David si traveste, ma non è affatto attirato dagli uomini, anzi si innamora di Claire; Claire desidera Virginia, è disposta a fare sesso con lei, ma quando incontra il pene di David rinuncia; Gilles, campione di un’etica eterosessuale (in un film che, a rigore, non presenta omosessuali) che viene messa in discussione (le prostitute scrutate dal finestrino dell’automobile: lo sconvolgimento di fronte a un travestito; la fantasia omoerotica di Claire: la scena della doccia), riflette lo spettatore (maschio) medio, imbevuto di luoghi comuni, con la sua punta di pacato scetticismo, la sua condiscendenza fintamente concessiva, il timore nel confrontarsi con un modello alternativo di mascolinità, ma anche il desiderio autentico di capire cosa accade, di comprendere cosa si agita nell’animo altrui. Lo stesso travestitismo di David se all’inizio viene giustificato con una funzione precisa (dare al bambino un’immagine materna riconoscibile che lo tranquillizzi), in seguito cambia faccia (David non avrà infatti remore nell’affermare che esso soddisfa una sua personale esigenza), così come mutante è il rapporto tra lui e Claire.

Il vero travestito

Il travestitismo in questo film è rappresentato come una pratica leggera, soave, solare: non viene proposto nella sua dimensione lacerante, ma piuttosto - collegato come risulta ad un lutto - come la strada praticata da David per affrontare la sua perdita; una strada che è percorsa di riflesso anche da Claire, che da essa ricava un eguale conforto alla sua depressione: ritrova un’amica, si riscopre donna (da subito: il marito glielo fa notare quando la vede travestita - l’abito elegante e il rossetto, prima di uscire a cena -). La gioiosità della pratica è un aspetto determinante che marca la distanza con uno degli ultimi film in materia, Laurence Anyways: mentre nell’opera di Dolan il travestitismo divide i personaggi, in questo li unisce. Questa scelta si ricollega a una ragione precisa: in Una nuova amica il vero travestito non è David, ma il film; la pellicola, sotto l’abito melodrammatico, smesse le tensioni da thriller, sciolti i rimandi classici (Vertigo + Vertigine [1], Hitchcock + Preminger, fantasma + fantasma), svela, dietro la sua vanitosa tenuta cinefila e camp, il corpo nudo dell’opera politica. Ozon non è nuovo a queste operazioni (da ultimo:  Il rifugio e Potiche), ma in questo caso il film sembra davvero portare lo spettatore, attraverso le ragioni dello spettacolo, a quel finale-manifesto di cui si diceva sopra, un proclama ad alta voce (Follow Me!), una chiusa che non fa ricorso a sottintesi: è il trionfo della famiglia transgender, con i genitori all’uscita di scuola, la figliola sorridente che li raggiunge, con Claire (infeconda con Gilles), finalmente incinta (di David). Bando alle formule e all’ottuso perbenismo, indifferente alla realtà e ai suoi mutamenti, alla fine di Une nouvelle amie non c’è un tacito far intendere, c’è un proclama preciso che viene consegnato a un’immagine forte al punto da non temere la stonatura: un’idea alternativa di famiglia, di amore, di relazioni sociali è possibile (dolly, i tre che si allontanano felici verso il tramonto, dissolvenza).
Attraverso l’ambivalenza di David (amico e amica, padre e madre vergine -Virginia? [2] -), vissuta senza alcun senso di colpa, si afferma la confusione dei generi come programma.

[1] In originale Laura (1944), come la morta di questo film, per l'appunto.

[2] Si noti la sottigliezza dell'Ozon sceneggiatore: all'inizio del film Claire rientra in ufficio, ma non riesce a lavorare. Si affaccia alla finestra e guarda l'insegna dell'albergo di fronte: Hotel Virginia. L'immagine le rimane in mente ed è la prima che le sovviene quando il marito le chiede il nome della nuova amica. Ma il regista riutilizza la cosa in chiave anche metaforica: è in quell'hotel che Claire e David in vesti femminili si danno appuntamento per consumare l'amplesso; è dal Virginia che Claire fugge.
- Scusa non posso.
- Perché?
- Sei un uomo.

Generi

Si intenda genere anche in senso strettamente cinematografico: Ozon, infatti, come Almodovar (o Fassbinder), lo usa piegandolo ad esigenze altre.
Così la consueta intrusione, tipica del cinema ozoniano, e la scoperta di una verità che si cela dietro una porta spalancata all’improvviso (preceduta dall’avvicinamento alla casa, dall’esterno, che crea tensione e aspettative, sottolineato, come risulta, dalla musica di Rombi) è propria di un thriller, ma rivela una verità tutta umana, che di delittuoso non ha nulla.
Così la frase di David «Quando c’è l’amore tutto è possibile» se risponde, a un primo livello, a un’esigenza melodrammatica, a un secondo livello, a testo acquisito, può essere letta senza tentennamenti come uno slogan propagandistico.
Si prenda la scena del coma: quando si sente chiamare Virginia, David apre gli occhi; quando Claire lo riconosce come donna e lo abbiglia con abiti femminili ottiene il suo risveglio. Ë la seconda vestizione del film: se la prima consegnava Laura alla tomba, la seconda fa risorgere Virgini. Le dinamiche sono, ancora una volta, quelle del melodramma, ma il risultato è un pezzo di cinema militante: la vita del protagonista dipende dal riconoscimento di quell’identità sessuale, senza Virginia David è un morto vivente.

Cambiare un mondo

Une nouvelle amie è dunque un film sull’emancipazione e sull’identità in cui, se c’è una provocazione, sta nei toni delicati e non violenti con i quali affronta il nodo centrale. È un film di false piste e di personaggi doppi (tutti: divisi tra essere e apparire) in cui l’attenzione non si concentra sulla questione del travestirsi, ma sulle sue conseguenze.
Il modo in cui il regista costruisce una narrazione coinvolgente senza lasciarsi sopraffare dalla complessa congerie di motivi, gestisce l’intricata materia, le sue implicazioni, i livelli di lettura molteplici, lo conferma un virtuoso della manipolazione, regnante supremo della difficile pratica di un cinema formalmente inappuntabile (anche manierato) quanto sostanzialmente controverso, in cui, preso un mondo, lo si modifica con pennellate nere e rosa, a colpi di dramma e commedia, elusione e esplicitazione.
Una nota finale per Romain Duris, alla migliore interpretazione della sua carriera.

François Ozon: «Può il cinema cambiare il mondo? Non lo so, ma certi film, come certi romanzi possono aprire lo spirito».