TRAMA
La vita di Ruth Bader Ginsburg, futuro giudice della corte suprema, da quando era giovane studentessa ad Harvard negli anni cinquanta a quando negli anni settanta vinse il suo primo caso importante
RECENSIONI
In un momento storico caratterizzato da un piuttosto generalizzato neoconservatorismo dilagante, nel quale molti diritti civili sembrano (magari a solo titolo propagandistico) messi in discussione e la parità di genere in diversi contesti appare ancora un traguardo lontano, la recente doppia celebrazione che il mondo del cinema americano ha dedicato a Ruth Bader Ginsburg appare apprezzabile se non altro per il tempismo. Personaggio forse non particolarmente conosciuto al di fuori degli Stati Uniti, la Ginsburg, classe 1933, è stata insegnante, avvocato e magistrato, ma soprattutto è una delle quattro donne entrate a fare parte della Corte Suprema. Le sue battaglie sono state a favore dei diritti delle donne e in nome dell'uguaglianza di genere, quindi fa sicuramente piacere che gli spettatori di tutto il mondo abbiano ora l'occasione di conoscere (o ricordare) questa figura eccezionale, il cui esempio risulta particolarmente luminoso negli anni di Trump alla Casa Bianca. A lei sono stati appunto dedicati il documentario RBG, co-diretto da Betsy West e Julie Cohen, presentato al Sundance 2018, candidato a due premi Oscar (Miglior Documentario e Miglior Canzone Originale) ma ancora inedito in Italia, e la biopic Una giusta causa, realizzata da Mimi Leder, che si concentra però sugli anni giovanili della protagonista e sulla vittoria del primo caso importante della sua carriera.
On the basis of sex infatti inizia negli anni cinquanta con Ruth giovane moglie, mamma e studentessa, nella prestigiosissima università di Harvard. In verità la strada è tutta in salita, visto che il preside Griswold non si trattiene dal ricordare alla protagonista e alle sue (non tante) compagne che i posti nell'ateneo a loro riservati potevano tranquillamente e più legittimamente, forse, essere stati destinati a studenti di sesso maschile. Però Ruth, nervi saldi e carattere determinato, non è certo il tipo che si scoraggia. L'ostracismo del corpo insegnante si rivela presto il minore dei problemi: a Martin, l'amatissimo marito, viene diagnosticato un cancro e quindi le priorità devono essere rimesse in discussione, anche perché dall'università non arriva la sperata solidarietà. Fortunatamente passano gli anni e i momenti più difficili, la famiglia cresce e si sposta a New York. Martin Ginsburg è ora un pagatissimo esperto di diritto commerciale, mentre la moglie è insegnante. Ruth però non si sente soddisfatta e sarà proprio il marito a indicarle un caso che sembra fatto a posta per farle riprendere la professione: difendere uno scapolo che aveva assunto un'infermiera per prendersi cura dell'anziana madre ma che non aveva potuto detrarre le spese poiché tale detrazione spettava soltanto a donne o a uomini le cui mogli fossero affette da gravi problemi di salute. Quindi un caso di discriminazione sessuale, anche se apparentemente non così clamorosa. Anni di insegnamento però hanno tenuto lontano Ruth dalle aule di tribunale, quindi prima di buttarsi nell'arena ci vorrà un bel po' di tirocinio, anche perché, dalla parte avversaria la protagonista troverà degli ossi duri di vecchia conoscenza.
Per Ruth, che l'inglese Felicity Jones intepretata con una pacata energia alquanto appropriata, l'affermazione professionale si accompagna a quella personale/familiare. In questo contesto è cruciale non tanto il rapporto col marito Martin, per il quale charme e sostegno coniugale vanno di pari passo (e Armie Hammer è ineccepibile nell'incarnare questo modello di coniuge pressoché perfetto), ma quello inizialmente soprattutto conflittuale con la figlia Jane (interpretata con vivacità da Cailee Spaney che, curiosamente quest'anno ha anche incarnato in Vice la giovane Lynne Chaney), simbolo di una nuova generazione di giovani donne che non solo fanno capire a Ruth che i tempi per certe battaglie sono più che maturi (siamo ormai negli anni settanta) ma che saranno le prime a beneficiarne.
Il cinema biografico fa parte del dna hollywoodiano, visto che era uno dei suoi pezzi forti già durante il cinema classico. Quindi operazioni come Una giusta causa dovrebbero riuscire con una certa naturalezza; ma la storia insegna che non basta una figura femminile straordinaria per ottenere un risultato all'altezza di Norma Rae o Erin Brokovich. Peccato, perché la produzione sembrava crederci e il cast secondario (del quale fanno parte Kathy Bates, Jack Reynor, Sam Waterson e un Justin Theroux dal look stravagante) è di buon livello. La Leder, tanta tv di qualità alle spalle (ER, The West Wing, The Leftlovers), ti sa fare affezionare ai suoi personaggi e qui riesce senza problemi a convincerti che Ruth Bader Ginsburg sia una persona fuori dall'ordinario, anche senza bisogno di conoscerne a memoria la biografia. Il problema probabilmente è da individuare nella sceneggiatura dell'esordiente Daniel Stiepleman (nella vita nipote dei Ginsburg) che, forse confidando troppo nel “fascino” di certe questioni legali, oltre a risultare piena di lungaggini (il film dura giusto due ore ma sembrano molte di più), ha la colpa di rendere la parte da “courtroom drama”, teoricamente quella che doveva essere più appassionante, la più noiosa.