Drammatico, Oscar, Recensione

UNA FAMIGLIA VINCENTE – KING RICHARD

Titolo OriginaleKing Richard
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2021
Durata144'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio

TRAMA

Richard Williams è assolutamente certo che due delle sue figlie, Serena e Venus, sono destinate a diventare delle leggende del tennis. Dedica la sua vita a prepararle per questo obiettivo, a modo suo.

RECENSIONI

Per il suo nuovo progetto come interprete e come produttore, Will Smith si presenta con un’immagine nuova rispetto all’eroe action e sex symbol che avevamo a lungo conosciuto.
Il “suo” signor Richard Williams, genitore di Venus e Serena portato sul grande schermo, rappresenta un padre molto prima che un uomo, non ha infatti altra vita che quella di allenatore ed educatore delle sue figlie, con una missione ed una responsabilità che non gli lasciano un momento di pausa o distrazione, pena la compromissione del grande progetto a cui si sente destinato.
In più, Smith è imbolsito - come nelle foto pubblicate autoironicamente dall’attore stesso durante la pandemia - e non regala le prodezze atletiche della gioventù, al contrario, coltiva il tramonto della sua antica fisicità lasciandosi malmenare dai teppisti del quartiere. Chili e abdicazione alle velleità glamour di un tempo, machismi compresi, come prezzo da pagare per un Oscar, verrebbe spontaneo pensare.
Il fatto che il film sia Smith lo si intuisce già dalla scelta di mettere al centro, in questa pellicola ispirata ad una storia vera e contemporanea, quindi nota a tutti, non le naturali protagoniste, le due campionesse, ma il loro genitore.
Will Smith è protagonista assoluto del racconto di un sogno americano, reso emotivamente più forte perché si tratta del sogno di una famiglia di colore cresciuta in un contesto sociale disagiato e rischioso - una misera periferia californiana. Ancora una volta il trionfo sportivo si connota come riscatto, sociale, famigliare ed individuale, ma per King Richard, non per le giovani sorelle, dal momento che il film non scava quasi per nulla nella personalità e nelle aspirazioni delle due tenniste in nuce. E’ invece ben evidente la voglia di rivincita di un uomo dal passato umile ed inglorioso e la ricerca di affermazione del clan Williams in un ambiente, quello del tennis pre-sorelle Williams, interamente bianco. Il tema razziale fa capolino più volte, nelle inquadrature dedicate alle giovanissime avversarie, bianche, ben vestite e ben pettinate, come pure nel piccato rifiuto del padre a proposte contrattuali avanzate con parole non troppo velatamente offensive e discriminatorie. Il rispetto negato arriverà con la gloria (con la ricchezza, con la notorietà). Come in una favola dei poveri ma buoni e volenterosi, i protagonisti sono sognatori di un futuro migliore, convinti che le cose non resteranno così per sempre, in un quartiere in cui è normale sentirsi minacciare dagli spacciatori o assistere ad una sparatoria. Quel che si vuole sottolineare con fin troppa insistenza è che il viatico per la vita migliore non è soltanto il talento innato, ma anche la disciplina morale e l’indissolubile unità famigliare, un caldo ed incrollabile sostegno contrapposto all’ambiente malsano e competitivo dei campionati juniores.

Il rigido modello educativo di King Richard, spesso contestato dalla stessa moglie, si nutre di ideali morali, prepotenze e senso di protezione. Di una visione chiara impossibile da scalfire: dal desiderio di tutelare l’infanzia delle figlie, permettendo loro di vivere da ragazzine finché non sarà il momento di tuffarsi nella mischia delle spietate competizioni, all’insegnamento dell’umiltà a quello di non accettare mai nulla gratis. Questa ingombrante figura paterna, “nata per allevare campionesse”, difficile da immaginare nella vita reale ed ammantata di una certa retorica, rimane aperta alla valutazione personale. Può apparire eroica, ma anche terrorizzare, e in questa ambiguità, sia pur sbilanciata sull’abnegazione, il film si svincola almeno in piccola parte dalla beatificazione.
Non c’è invece spazio per il romanzo di formazione in una pellicola in cui l’evoluzione dei personaggi, giovani o adulti che siano, è minima e in cui le giovanissime campionesse restano, per paradosso, comprimarie.
Il racconto sportivo, da parte sua, non ha alcun respiro epico. E poiché il film non è privo di retorica, sembra più il risultato di calcoli sbagliati che una scelta. D’altra parte King Richard non è un film sportivo, genere sempre insidioso, non parla di tennis che collateralmente.
Se Will Smith ed il suo personaggio divorano letteralmente la messa in scena, nel bene e nel male, il successo o meno nella sfida principale, quella degli Oscar, non potrà che risultare fondamentale nel quadro generale dell’operazione. Era dai tempi di Alì (2001) e della collaborazione mucciniana (La ricerca della felicità, 2006, Sette anime, 2008) che Smith non manifestava ambizioni che travalicassero il botteghino, sarà una svolta o la ricerca di una legittimazione nella maturità? Il Golden Globe, intanto, è già arrivato.

Oscar 2022 a Will Smith, miglior attore protagonista