TRAMA
Un uomo ricco e sgradevole è stato assassinato e tutti gli indizi puntano contro il giovane figlio. Assumerà la sua difesa un avvocato amico della famiglia coinvolta.
RECENSIONI
Una doppia verità riporta alla regia Courtney Hunt, che aveva scritto e diretto il buon Frozen river nell'ormai lontano 2008. Erano seguiti pochi episodi di telefilm televisivi tra cui Law and order, sempre in ambito avvocatesco.
Tutto inizia con un serpente che striscia lungo una strada assolata, una macchina lo supera: dovrebbe evocare qualcosa? Anticipare significati? Resterà una delle tante domande insolute, da ricondurre in ultima analisi a sciatteria di scrittura.
Da subito, la voce over di Keanu Reeves, protagonista e narratore, guida lo spettatore. Voce un po' invadente, un po' didascalica. Il film parte senza preamboli come thriller giudiziario, l'aula come set principale. I pochi altri ambienti - quasi sempre la casa della famiglia in cui si è consumato il delitto - appaiono nei ripetuti flashback, che ordinatamente ricostruiscono un quadro delle premesse e, poco a poco, degli eventi chiave. Siamo nell'assolata Louisiana, alle prese con un padre e marito padrone, insensibile, violento, ubriacone e probabilmente infedele, sempre pronto a trattare male la famiglia. La moglie è incapace di reagire e di proteggere il proprio figlio, probabilmente per un senso di inferiorità culturale (ed è questo quasi tutto ciò che è dato sapere di lei). Il figlio è un ragazzo chiuso nel suo silenzio, figura precocemente traumatizzata dalla disfunzionalità famigliare. Su queste basi non originalissime si svolge la battaglia legale per salvare il giovane accusato di parricidio. Il film, come spesso sono i legal thriller, è giocato sul tema della verità e del suo opposto. Lo rivela dal titolo, in originale Tutta la verità, in italiano verità doppia (o tripla). I diversi flashback evidenziano la frequenza delle bugie, in un processo come nella vita di tutti i giorni: per convenienza, ricostruzione errata, malafede. Ne parlano al primo incontro l'avvocato e la sua assistente, esplicitando il tema portante. La giovane donna, l'unica pura del gruppo, è brava a riconoscere l'insincerità. Idealista lei, per gioventù, voce degli scrupoli morali, navigato lui - rivela ad alta voce al pubblico i suoi dubbi ma ne mette a tacere la gran parte. Il dilemma eterno dell'avvocato sembra consistere nella scelta tra la verità e l'interesse del cliente (un dilemma ingannevole, come si vedrà).
Tirando le somme, come giallo prettamente giudiziario alla pellicola mancano i rituali della strategia difensiva/offensiva, il procedimento si snoda abbastanza piatto. Dovrebbe provocare un sussulto l'inattesa prima e ultima rivelazione del figlio-imputato, ma anche questa arriva senza alcun impatto trascinante.
Resta allora un legal thriller come tanti se ne sono visti, anzi meno avvincente. Di limitato interesse fin dalle premesse - il solito caso di soggetto sgradevolissimo assassinato, uniche parti in causa moglie e figlio. Il finale, colpo di scena, rivelazione, soluzione o twist si voglia chiamarlo, delude su tutta la linea. La debolezza più grave sta nell'incapacità di delineare un quadro solido e credibile dei personaggi e delle azioni che hanno condotto all'omicidio prima ed agli sviluppi narrativi poi. Arrivati ai titoli di coda continuiamo a non conoscere le figure in gioco e le dinamiche che uniscono alcuni di loro (nulla di quanto viene mostrato giustifica davvero, ad esempio, il comportamento dell'avvocato). La regia di assoluta piattezza, da parte sua, non aiuta. E' un bene, comunque, che Keanu Reeves esca per un po' dai panni di John Wick, ed anche che torni in aula dopo L'avvocato del diavolo provando a sfuggire a un destino da eterno vendicatore col grilletto facile. Sarebbe stato positivo anche vedere in un ruolo nuovo Renée Zellweger, se non fosse apparsa tanto sonoramente inadatta al suo personaggio (a patto di riconoscerla, s'intende, cosa non facile alla prima inquadratura).