Drammatico, Sala

UNA DONNA FANTASTICA

Titolo OriginaleUna mujer fantástica
NazioneCile/ U.S.A./ Germania
Anno Produzione2017
Durata104'

TRAMA

Marina, una donna giovane e attraente, è legata sentimentalmente ad un uomo di vent’anni più grande. La sua fragile felicità si interrompe la sera in cui Orlando, il suo grande amore, muore all’improvviso. È in quel momento che la sua natura transgender la metterà di fronte ai pregiudizi della società in cui vive. Marina è però una donna forte e coraggiosa e si batterà contro tutto e tutti per difendere la propria identità e i propri sentimenti.

RECENSIONI

Film dopo film, Sebastián Lelio sembra specializzarsi in ritratti di donne vitali e ostinate, risolute a vivere la vita secondo la propria natura e i propri desideri, oltre le aspettative limitanti della società; donne che pur partendo da una condizione di marginalizzazione trovano la forza per reagire e vincere, conquistando una felicità che sono loro stesse a scegliere. Se questo succedeva nel precedente Gloria e si riproporrà anche nel successivo Disobedience, è ancora più vero per Una donna fantastica, ricompensato con il premio per la miglior sceneggiatura alla Berlinale 2017. La prospettiva è tutta interna a Marina – questa è l’intelligente intuizione centrale del film. C’è una società maschile e esterna che di certo le si oppone, ma non è attraverso i suoi principi che lo sguardo cinematografico viene veicolato. Di conseguenza, il film non articola spiegazioni né ricorre a complicati psicologismi per darci ragione dell’amore fra la protagonista – una giovane transessuale – e Orlando – un uomo maturo con una famiglia e figli alle spalle. È un amore che è e basta, che non necessita di giustificazioni. Marina rifugge dallo stereotipo, non è una femme fatale, non è né esteticamente eccessiva né sessualmente aggressiva: è una donna qualunque, dall’aspetto qualunque, che conduce una vita regolare (cameriera in un ristorante, un cane, le lezioni di canto). E, prima di tutto, è una donna. Non c’è enfasi sui motivi classici del corpo fluido o in trasformazione e, malgrado i tanti specchi che la riflettono da più angolazioni, la proposta è quella di andare oltre il concetto di corporalità nella definizione dell’identità di genere. Lelio, attraverso Marina, ci mette davanti ad un’evidenza – l’essere donna, come autodeterminazione – che è una condizione essenziale non discutibile né negoziabile. La società, incarnata dai medici e i famigliari di Orlando, si batte contro questa evidenza e la reazione si concretizza in multipli tentativi di non riconoscere a Marina un’identità: l’umiliazione dell’esame medico, il figlio di Orlando che le dice “non so cosa sei”, gli aggressori che la imbavagliano con del nastro adesivo al fine di nasconderle il viso. Ma la battaglia di Marina contro queste avversità non è (o non è solo) una contesa per il proprio riconoscimento di genere, ma è principalmente una lotta per rivendicare il proprio diritto all’amore. In questo senso, l’odissea di Marina trascende i limiti della narrazione a tematica e cerca uno slancio verso l’universale.

Con queste prese di posizione, prima di tutto concettuali, Una donna fantastica si configura indubbiamente come un film importante. Non tanto perché celebra la forza e lo spirito indomito di una donna, ma perché lavora sul concetto stesso di donna, e lo amplia, rafforzato nell’intento fin dal titolo inequivocabile. È un passo in avanti nella narrativa trans, ben oltre lo stucchevole The Danish Girl o la proposta indie-camp di Transamerica, ma anche oltre la visione sessualizzante e tutta maschile del classico La moglie del soldato. Ma nonostante ciò, e nonostante l’afflato tutto almodovariano che fa spaziare il film dal noir al melodramma, passando per il dramma sociale e la commedia umana, alla fin dei conti Una donna fantastica sembra non centrare sempre appieno il mirino del coinvolgimento. Il paragone con Gloria viene naturale. Nel precedente film, la vicinanza alla vita di Lelio, attraverso la sua incredibile protagonista, aveva qualcosa di miracoloso, un senso di empatia travolgente che ha decretato il successo, a più livelli, del film. Compresso nel suo nucleo concettuale, Una donna fantastica risulta molto più trattenuto, meno strabordante, meno attento a restituirci dettagli e minuzie emotive della vita reale. I personaggi diventano quasi dei “tipi”: parteggiamo per Marina non tanto per condivisione emotiva (come accadeva per Gloria) quanto per adesione di principio; i famigliari di Orlando rappresentano certamente la violenza e l’omofobia insita nella società, ma la loro caratterizzazione schematica non invita ad indagarne ulteriori complessità. Allo stesso modo, registriamo un abbondare di sottolineature didascaliche: uno specchio fra le gambe nude di Marina ne riflette il viso al livello del sesso, la protagonista che cammina controvento in barba alle avversità, Aretha Franklin che canta (You Make Me Feel Like) A Natural Woman. Sono infine questi didascalismi a farci sospettare che, se concetto e posizione intellettuale sono solidi e chiari nella mente di Lelio, forse lo sono meno le modalità prettamente cinematografiche attraverso le quali potrebbe dare maggiore complessità e densità al racconto.