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TRAMA
L’invisibile Bob Maconel medita una strage sul lavoro, ma qualcuno ha avuto la stessa idea._x000D_
RECENSIONI
Un film diviso in due: tematicamente, concettualmente, stilisticamente. Al centro “l’evento di rottura” – la sparatoria in ufficio – con ricadute interiori dello stesso, che appiccano il contrasto prima/dopo e dividono la materia, la bipartiscono, la rendono schizofrenica. Tematica: prima una parodia incendiaria dell’american job market (allusione a più generali assetti organizzativi), minato da psicotici potenziali e piegato a una grottesca nozione di “merito” – chi spara viene promosso -; dopo il dramma sentimentale surreale, sempre in soggettiva di Bob, che sotto la patina di anomalia è invece integralmente nutrito di schemi classici (approccio, bacio, diverbio, allontanamento, riconciliazione etc.). Concetto: prima il tipo sovraccarico, scorticato dalla società degli uomini e dalla sua cinica disposizione piramidale, e prossimo all’esplosione (naturalmente Falling Down); dopo l’immutabilità cosmica delle pulsioni, dove la doppia alterazione dei protagonisti (pazzo --> eroe, civettuola --> donnafedele) è un’apparenza fatua e si resta incollati ai propri marchi caratteriali, nell’epoca della confusione ontologica (chi è davvero cosa?). Stile: prima definito, composto e contornato, appena mosso da ralenti e virate in grigio; dopo sfumato e onirico, incuboso, all’insegna della progressiva lacerazione dei “fatti” e scivolamento nel pozzo della paranoia. Diviso in due, dunque, ma dalla lettura scoperta e scorrevole, ergo raramente stuzzicante. Come particolari, tutto il repertorio dell’indie film awards di questi anni: accessoriato freak sia verbale (il ritornello del “sesto proiettile”, quello che uccide sé stessi) che visivo (il declassamento estetico) – reietti, ultimi, losers: le vere muse yankee dell’ultimo lustro -, querula voce off foraggiata di figurazioni facili, vago gusto eccentrico sfogato negli optional (vedi il coro dei pets), un pizzico di capriccio scopico (scambio di persona nel massacro), finale multistrato. Il film avanza a passo incostante e, attraverso punte fortunate ma sempre episodiche, proprio nella messinscena cade in difetto: si prenda a esempio la ripresa del karaoke, che da un prologo idilliaco intende amareggiare con il dato tragico dell’indigenza, ma risulta sciolta in un generico campo/controcampo con brevi stacchi e primi piani, a imbrogliare sia l’arredo visivo che l’interesse sostanziale. Frank Cappello, un uomo qualunque. Cast rimandato: Slater in fondo è solo una maschera, Macy retrocede al ruolo di caratterista, giusto Elisha Cuthbert sembra a casa in Vanessa, con due ruoli (bella – brutta) a forte impatto metalinguistico. Tutto ciò, pacificamente, in buona confezione.
