TRAMA
Jimmy Morris, insegnante di chimica con tre figli, ha sempre sognato di diventare un giocatore di baseball professionista, ma un problema al braccio glielo impedì. Allena una squadra in Texas, cui promette di partecipare alle selezioni per il campionato.
RECENSIONI
John Lee Hancock è un texano D.O.C. sposato alla bandiera che, in questo caso, è cinematografica, ovvero la produzione Disney, con cliché etici e drammaturgici di lunga tradizione. Lo sceneggiatore è Mike Rich, quello di Scoprendo Forrester, film abilmente aggirato dal cinema di Gus Van Sant nelle convenzioni cui Hancock non sa e non vuole sottrarsi: dopo un esordio (Hard Time Romance) in cui dipingeva la strenua lotta del cowboy per conquistare l’amata, torna alla regia di un lungometraggio a distanza di dieci anni, passati a farsi un nome come sceneggiatore per Clint Eastwood e come creatore di serial Tv, e abbraccia il sogno americano, che il titolo italiano centra in pieno. Per i modi che adotta e le cose che dice, due ore di durata sono davvero troppe: il racconto su di un “anziano” che torna al baseball da professionista ricorda da vicino il meraviglioso Il Migliore di Barry Levinson (stessi espedienti emotivi e narrativi, altro talento). Nella prima parte, Hancock mette in scena il topos della squadra più scassata del campionato in rimonta ed è palese che è sprovvisto delle abilità necessarie, con i momenti di tensione non accompagnati da una narrazione in crescendo. In seguito, si dedica alla descrizione della vita familiare del protagonista, per poi concentrarsi su ciò che più interessa, “il tema-dibattito”: inseguire i sogni o affrontare (come il padre militare) la realtà? In modo ammiccante, dato che la fine è nota altrimenti non ci sarebbe il film, ecco l’apologia del desiderio. Che funziona, nostro malgrado: i codici nel Dna del cinema americano sanno strappare le emozioni dalle viscere e, quando Jimmy Morris entra nello stadio dei professionisti ed è osannato da amici, famiglia e padre, è impossibile non commuoversi.
