TRAMA
Irlanda: morta la madre, il figlio diciottenne scappa da casa per sfuggire all’autoritario padre poliziotto. Vergine ed ingenuo, viene svezzato da un amico campagnolo.
RECENSIONI
Per tre quarti della sua durata, è un'opera che non ha ragione d'essere. Nell'ultimo, in ritardo, rivela approssimativamente temi e aspirazioni (un ragazzo ignaro della vita, da educare sentimentalmente al dolore, alla responsabilità, all'affetto paterno). Irritante. Peter Yates e Albert Finney si riuniscono dopo Il Servo di Scena ma il regista ha perso lo smalto di un tempo, la sua messinscena è incapace di fare il punto: un padre crudele? Un paese diviso? Una commedia? Un dramma? Un figlio viziato? Un giovane timido e mammone o un ritardato (la sua inesperienza è, francamente, ridicola)? Un parto del bigottismo di provincia o un animo sensibile rispetto ai coetanei? Non si può dare tutto per scontato. C'è un problema di comunicazione fra padre e figlio, ma allo spettatore non è dato sapere dove inizino le ragioni e finiscano i torti. Ad un certo punto, fa capolino una tragedia d'amore che si risolve in una bolla di sapone. Completamente fuori parte il protagonista, Matt Keeslar: imbambolato, non rende le sfumature emotive che ovvierebbero a certe grossolanità degli autori, dove è da chiamare in giudizio anche l’inetta sceneggiatura di Shane-Il Mio Piede Sinistro-Connaughton (Playboys, sempre con Finney) che, se non difetta di complessità, pecca oltremodo di ambiguità gratuite, non sa evitare il patetismo e rendere tutto più credibile. L'unico personaggio riuscito è quello macchiettistico (paradossale, in un dramma) di "Coco", un superlativo Anthony Brophy. Siamo al "confine" ma la "questione irlandese" è solo banalmente sfiorata: di "irlandese" (ed è un complimento) ci sono la fotografia (di M. Southon), solare nella parte bassa dello schermo e plumbea in alto, e la bellezza della rossa Victoria Smurfit.