TRAMA
Dalla presa della Bastiglia il 14 luglio del 1789 alla decapitazione di Luigi XVI il 21 gennaio 1793: l’insurrezione del popolo, il rovesciamento della monarchia, la Rivoluzione francese.
RECENSIONI
Sette anni dopo Il ministro, che inscenava il dispositivo kafkiano e paradossale del potere, Pierre Schoeller ribalta radicalmente la concezione alla base di quel film: L’Exercice de l’État, titolo originale dell’opera precedente, diventa qui Un peuple et son roi, operando subito un significativo slittamento, dalla pratica del potere governativo si passa alla folla indistinta dal basso, il popolo. Il riferimento a Luigi XVI è secondario e determinato dall’aggettivo possessivo (son roi), ovvero il monarca appartiene al popolo sovrano che ne dispone a sua volontà fino alla ghigliottina.
I prodromi della Rivoluzione vengono dunque raccontati dalla prospettiva della gente comune: la giovane lavandaia Françoise (Adèle Haenel) e il vagabondo Basile (Gaspard Ulliel), poveri nella Parigi del 1789, che vedono maturare intorno una coscienza di classe a cui si avvicinano gradualmente. La rivolta avanza di pari passo con la loro storia d’amore: nella tradizione del racconto rivoluzionario il pubblico si intreccia col privato, lo sbocciare della relazione tra gli umili progredisce mentre la rivolta infiamma nelle strade, la loro maturazione è sia politica che sentimentale. Prima indotti dall’esterno, e poi introiettato lo spirito del tempo, i popolani realizzano che il re non è più intoccabile: lo insinua già l’incipit, Luigi XVI (Laurent Lafitte) che esegue il rituale lavaggio dei piedi ai bambini poveri fino a provocare la spiazzante replica di uno di loro (“Presto avremo gli stivali”). Schoeller in questa scena di sintesi, forse la più efficace, ripropone la metafora che apriva Il ministro, il sogno del coccodrillo, e racchiude ancora il senso del racconto in una sequenza da leggere “sciogliendo” i segni che la compongono: il sovrano inginocchiato davanti ai poveri, alla vigilia della Bastiglia, acquista nuovo senso; il bimbo, in una battuta inconsapevole, annuncia la rivoluzione.
«Volevo filmare un popolo attivo» afferma il regista, che segue il movimento popolare per due ore saltando di tono in tono, da un personaggio all’altro, dal Marat di Lavant al Robespierre di Garrel, dal tumulto nei vicoli alla ricostruzione dell’assemblea nazionale, dai dialoghi istintivi alla diatriba “filosofica” sul futuro della rivoluzione. Davanti alla complessità dei nodi il racconto diventa presto meramente illustrativo, le tappe previste, i caratteri equamente ripartiti; la causa popolare mostra la corda e non basta a caratterizzare il film nella vasta produzione sul tema. Senza nulla aggiungere alla cinematografia sulla rivoluzione Un peuple et son roi svolge un compito corretto, a tratti prolisso, che difende il suo motivo centrale ma di fatto ribadisce il già noto.
Presentato fuori concorso al Festival di Venezia 2018. In teoria vicino, per impostazione, a Peterloo di Mike Leigh: altra rivolta nello sguardo del popolo, diversa profondità di scrittura e messa in scena.
