TRAMA
Arizona 1882. L’allevatore di pecore Albert vorrebbe abbandonare l’odiato West e ricominciare una nuova vita altrove. Ma una misteriosa e bellissima donna appena arrivata in città cambia la sua prospettiva sulla frontiera e sulla vita.
RECENSIONI
Tra le possibili declinazioni della crisi senza fine di questo inizio di millennio, concretata nelle immagini di un inospitale diffuso e assodato - culminanti ad esempio nelle apocalissi della recente commedia hollywoodiana (Seeking a Friend for the End of the World di Lorene Scafaria, 2012; This Is the End di Evan Goldberg e Seth Rogen, 2013) -, la frontiera di A Million Ways to Die in the West, secondo lungometraggio del creatore di Family Guy e American Dad!, corrisponde a quel «gigantesco, enorme cesso pieno di disperazione» in cui è ambientata la storiella del bravo ragazzo Albert (Seth MacFarlane) che conquista l'ex cattiva ragazza Anna (Charlize Theron): il baraccone che elenca un milione di modi dediti all'infelicità per testare le demenziali pretese di un altro personaggio - dopo il John Bennett/Mark Wahlberg di Ted (2012) - adagiato «nel posto e nel periodo sbagliati» a confronto con manie e immaginari precotti a stelle e strisce - là la perdita dell'innocenza ritardata, qua la frontiera come turpe hard land for hard folk -, tuttavia dotato dell'iniziativa necessaria a riscattare se stesso dallo status di amabile perdente e a volgere «un inferno vivente» in un eden sovraffollato.
Ma se l'umorismo e la scurrilità sono le armi con cui Alec/MacFarlane conquista la ragazza divertendola e la dissacrazione abbassa verso quote umorali le altezze della frontiera - riducendola però a mero contenitore di duetti impacciati, di meta-trastulli, di cadute da cavallo incapaci di schermare quelle del ritmo -, la risata paradossalmente langue proprio quando Albert incontra Anna e il tono cartolinesco-sentimentale del plot "boy meets-loses-gets girl" toglie gradualmente campo alla beffa. L'epilogo - che forse avrebbe voluto stigmatizzare il motto "la felicità «è trovarsi qui nel più grande paese del mondo»" (dall'episodio «American Dream Factory» di American Dad!), cogliendone con un unico sguardo l'aspetto allucinatorio - conferma soltanto che nonostante i grandi spazi il film ricade nella personale, scialba rivincita del nerd MacFarlane sul machismo americano per eccellenza.