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TRAMA
Gina e Marco, passeggera e autista, hanno un appuntamento importante. Ma c’è un contrattempo.
RECENSIONI
Gina vive nella periferia romana, ha diciannove anni e vuole fare l’attrice, nel giorno speciale deve incontrare l’Onorevole che la introdurrà nell’ambiente dello spettacolo. Si alza all’alba, viene assistita dalla madre (il padre non si vede, breve cenno di famiglia deformata): essa partecipa alla vestizione della figlia che, sotto i nostri occhi, perde gradualmente la spontaneità post-notturna e si costruisce, proponendosi come “offerta” agli occhi degli altri. Marco ha la stessa età, affronta il primo giorno di lavoro da autista dell’Onorevole: anche lui è “mascherato”, appena passato dal marchio adolescenziale della scuola all’abito imposto dal nuovo ruolo (non può togliersi la cravatta, è in servizio, ipse dixit). E’ incaricato di prelevare la ragazza e condurla all’appuntamento nel Palazzo. Tra i due si inserisce l’imprevisto: l’incontro slitta – il politico sta votando una indefinita “manovra” -, Marco e Gina sono costretti a ingannare il tempo tra loro, uomo e donna in miniatura nell’arco di una giornata: dal bowling al centro commerciale, dal pranzo costoso alle rovine antiche, e contestualmente dall’interno auto all’esterno città, dal silenzio al dialogo, dalla diffidenza al contatto. Dalla commedia dei caratteri alla svolta drammatica. La loro conoscenza è un intervallo sulla linea delle vite individuali, per scoprire che autista e passeggero non sono padrone e servo, bensì “servo e servo”: la subordinante condizione di minorità allinea entrambi i protagonisti, i padroni sono altri e si nascondono dietro i muri dei parlamenti. L’illusione che il cammino sia più importante della meta dura fino all’incontro con l’Onorevole.
Dopo Lo spazio bianco, Francesca Comencini passa dall’intimo e privato di quel film a una dimensione pubblica: il minimalismo iniziale nel disegno dei personaggi è solo apparente, infatti, dato che l’obiettivo principe resta ottenere un film italiano ovvero “racconto sull’Italia”, sullo stato sociale e politico di un Paese. Il genere prescelto è la commedia sentimentale, che guida il timone per due terzi, ma con un sottotesto decisivo: l’incontro a venire con il Potere, che stagliandosi in prospettiva scurisce i contorni del tête-à-tête, prepara l’irruzione del drammatico nella partitura. E’ chiaro Un giorno speciale, mette subito i temi alla luce: la corruzione nazionale e la crisi che la alimenta, la divisione castale tra classi che si rispecchia nei quartieri (dalla periferia al centro, viaggio spietato), il moloch televisione in loop indisturbato da mattina – la recita politica – a sera – i reality show.
La regista romana spinge sulla comedy, imperniata sul rapporto a due Gina/Marco e intavolata soprattutto sul cambio di codice: nellepoca della comunicazione per apparenza, lironia si gioca sul vestito e il look, cambiare abito prelude a cambiare umore (Gina si sfila le scarpe eleganti e indossa le Converse), non cambiare significa segnare una distanza metaforica che resta intatta (Marco è sempre vestito da autista). Ospitare un tratto comune è il vero punto di contatto, il segno certifica la conoscenza, vedi il tatuaggio sigillo della giornata. Se questa descrizione può suonare come mescola di archetipi post-adolescenziali già frequentati, alcuni spunti potenziali compaiono invece sulla tela: il quadro visivo della periferia, non banale sul piano rappresentativo (il quartiere romano di Ponte di Nona forma un anello di case tutte uguali, come si vedrà nel finale); oppure il frammento iniziale rinchiuso nellauto blu, cosmopolis senza allegoria, che si propone sia come base di osservazione verso lesterno, sia come luogo teatrale della prima interazione tra protagonisti. In entrambi i casi però i guizzi ipotetici non sono sviluppati bensì trascurati: la cornice urbana è uno schizzo, il film in interni una strada schivata. La commedia non ha rivestimento stilistico peculiare, ma coltiva lo scopo centrale che è dire cose serie. Priorità assoluta alla formazione graduale del significato: la parabola ha sempre un fine, il percorso umano cela un lato morale.
Ho voluto fare un film semplice, asciutto, apparentemente spontaneo fino a sembrare trasandato. In realtà è molto scritto e costruito, afferma Comencini. Se lobiettivo della semplicità è non solo lecito, ma anche ambizioso, proprio la sua costruzione conduce a risultati spaventosamente altalenanti: tra alti e bassi, mediamente passabili sono gli intermezzi solo comici; più zoppicanti le parentesi che chiedono la risata seria (lepisodio nel centro romano, sequenza che si conclude con il lancio del vestito elegante: oggetto di una facile rivalsa dei poveri); deciso naufragio nellultima parte, che sfoggia pretese da moral play ma lentamente scivola nello stereotipo tricolore (il politico, la starletta). Lautrice non è estranea alla costruzione del simbolo, come dimostra levocazione del patrimonio fiabesco nascosto nellintreccio: il Parlamento/caverna, la stanza dellOnorevole è la tana dellOrco, Gina perde le scarpe come Cenerentola
Tensioni implicite neutralizzate dalla messinscena, purtroppo, improvvisamente vanificate da svarioni nellarco di una ripresa: il ralenti sul tatuaggio della ragazza come maldestro tentativo di soggettiva di lui, lennesima epifania urlata del pre-finale, Marco che riga lauto di lusso.
E’ cinema popolare nell’accezione legittima del termine, quello di Francesca Comencini, pensato, scritto e diretto “per il popolo”: prima vuole parlare a tutti con la voce della commedia, poi si indigna per il malcostume, infine guarda addirittura allo spirito alto e al senso morale di Carlo Giuliani, ragazzo (oggi la prova migliore). Lancia un messaggio. E’ cinema giudicante, leggero ma non leggiadro, che simula una risata per criticare il contemporaneo, che per i suoi argomenti trascura il resto: la sceneggiatura, la direzione degli attori (Valentini e Scicchitano: entrambi non convincono), soprattutto la proposta di storie, luoghi e situazioni credibili. Non è cinema del presente, perché le sue semplificazioni non si addicono al reale, l’abbozzo approssimato non si applica a questi tempi, è ripetizione seriale di alcuni temi virtualmente replicabili all’infinito. E’ vero ciò che racconta Un giorno speciale, ma non verosimile. Scandita la sua morale, la traiettoria di Comencini concede uno spiraglio ai protagonisti: al termine del training day sono cambiati per sempre, compromessi ma consapevoli, a seguito di un percorso di disvelamento dei fatti e analisi razionale del vissuto. C’è un filo di speranza nella capacità di elaborazione del giovane/uomo, vedi la “svolta” finale di Marco, un’amara coscienza di sé e del mondo: forse possiamo ancora redimerci, ma serve ben altro rigore per girare un film umanista.
