TRAMA
New York, anni Zero: i dolori del giovane James.
RECENSIONI
Il romanzo di Peter Cameron era diventato un cult, James, il diciottenne protagonista, incarnando un carattere sintomatico della confusione di una generazione che non avendo avuto riferimenti certi si è trovata a dover compiere le sue scelte al buio, confrontandosi con la sua immaturità, la mancanza di esperienza, la poca lucidità; con dubbi assillanti sul cosa fare, come affrontare la vita, chi incontrare; con incertezze di identità (chi sono?), di sessualità (chi amo?), di ruolo (sono il figlio di mamma e papà? Sono il loro genitore?). James - con Dwight, che esprime nel pressoché contemporaneo romanzo Indecision di Kunkel, lo stesso spaesamento, nella fascia d’età successiva, e di cui qualche cineasta prima o poi si farà carico - rappresenta insomma il grande stallo della gioventù degli anni Zero, affermandosi come una mini icona.Che il romanzo fosse destinato al grande schermo era chiaro a qualsiasi lettore: come non cedere alla tentazione di tradurre in immagini le riflessioni in prima persona del Giovane James (l’altra opera di rilievo di Cameron, The city of your final destination, era stata portata a felice trasposizione da Ivory), le fulminanti conclusioni cui lo conduceva l’osservazione disincantata e priva di pregiudizi del mondo circostante, il pungolo di un dolore ineffabile che non invade, ma sta in agguato, condizionando senza ferire, scorticando senza azzannare, estenuando senza mai darsi un nome?
Faenza prende questo congegno delicato e molto fragile (il romanzo, tanto accortamente modulato da non risparmiarsi qualche solenne nota di compiacimento), introspettivo e di ironia sottile - in cui personalità fa rima con disadattamento, sensibilità con disturbo e rifiuto dei ruoli con asocialità - e vi entra con irruenza fracassona e inopportuna. Come tutto il suo ultimo cinema, anche in questo film calca la mano inopinatamente, facendo del racconto del protagonista una specie di commedia dissociata, passando dalla comicità alla pochade, all’intimismo spicciolo senza soluzione di continuità, nella radicale indifferenza alle nuances, in un saliscendi tonale francamente insensato, nella consueta pletora di televisissimi primi piani, sullo scheletro di una scrittura debolissima.E’ potenzialmente interessante partire da una novella così sfumata, sovvertirne la logica e consacrarla a un genere di segno marcato e completamente opposto, facendone una commedia di costume, quelle metropolitane-newyorkesi anni Ottanta cui, in tutta evidenza, il regista si rifà, ma il tentativo abbisognava di altri talenti e altri approcci. L’autore inanella le situazioni del romanzo, svuotandole di significato, restituendone un involucro lucido e vacuo, in un impianto frammentario in cui i tormenti del protagonista sono puro simulacro dipinto dall'opportunamente decrittatoria voce fuori campo (James, analfabeta sociale, che, rifiutando i coetanei si è costruito un mondo suo e sbaglia l’approccio con John, adulto-giovane che ammira e di cui è infatuato; James che, dovendo soccorrere emotivamente una madre in eterna crisi e confrontarsi con un padre infantile, deve cercare rifugio in una nonna-baluardo; James che, annichilito dalla pochezza di cui trasuda, tenta di respingere anche lo scoraggiante mondo adulto nel quale, peraltro, è prossimo a sbarcare) e le sue piccole e grandi tragedie s'inscenano come stinti teatrini nevrotici di un milieu al disfacimento, fatto di genitori permissivi perché assenti, di sorelle in tresca con anziani professori, imbevuto di una finta cultura che vende spazzatura che si autodichiara, di life coaching, di patetico inseguimento di ogni moda.
L’apologo sulla diversità e su quella che può essere definita una dimensione esistenziale normale trova insomma un adattamento mortifero in cui il tono brillante coincide con la sovraeccittazione e il dramma è disinnescato programmaticamente - smontato da una battutina, da un disimpegno intimista, da una grossolana scena comica - per naufragare in una messinscena fintissima, di una finzione che per quanto convinta non riesce a farsi stile, ma solo smaccata patinatura a smaltare l’ennesimo inciampo cinematografico del suo autore.