TRAMA
Rosa Maria, giovane insegnante di storia, viaggia insieme alla figlia Maria Joana in una crociera che le porterà dal Mediterraneo fino a Bombay, dove incontrerà il marito. Durante la crociera madre e figlia attraversano la storia visitando Ceuta, Marsiglia, Pompei, Atene, Istanbul e l’Egitto. Sulla nave si uniscono al tavolo del capitano insieme a tre persone famose di differenti nazionalità. Ma una strana minaccia incombe sulla crociera e sui passeggeri.
RECENSIONI
Manoel de Oliveira è un maestro della cinematografia portoghese e basta ascoltarlo in un'intervista per capire di essere davanti ad una persona di somma cultura e profonda intelligenza. Alla veneranda età di novantacinque anni non manca un festival, con film non sempre entusiasmanti ma spesso illuminanti. "Um filme falado" è però, davvero, di rara bruttezza (e si vocifera sia stato escluso dal Festival di Cannes). Tutta la prima parte prevede lezioni di storia impartite da una giovane insegnante (la sempre luminosa e gelida Leonor Silveira, attrice feticcio del regista), alla figlioletta. Le capitali si susseguono identiche: stessa inquadratura della prua della nave, sbarco, cartolina del monumento più famoso, dissertazione accademica (a volte con ospiti), "cos'è questo", "cos'è quello", pronunciati dalla saputella bambina, imbarco di un nuovo personaggio. Nella seconda parte il capitano della nave (un John Malkovich più viscido che mai) invita le tre "colte" e importanti personalità salite a bordo a cenare con lui. Si crea quindi una tavolata con Catherine Deneuve, donna d'affari francese, Stefania Sandrelli, ex-modella italiana e Irene Papas, cantante greca. Ognuna si esprime nella sua lingua natale e dissertano sui massimi sistemi capendosi a meraviglia. Grandi banalità vengono spacciate per pillole di saggezza ("Le donne dovrebbero governare il mondo", "fra Oriente e Occidente mancano valori di convergenza") e lo spirito didattico finisce per prevaricare sui personaggi, ridotti ad anonime marionette spara-nozioni. Le lunghe sequenze dialogate sono quanto di più falso sia dato vedere al cinema: Irene Papas è forse la più spumeggiante, la Deneuve appare spaesata e la Sandrelli è semplicemente imbarazzante. Il finale potrebbe dare un senso al tutto ma è inficiato da un'inquadratura conclusiva che scade nel trash: l'espressione attonita di Malkovich che accompagna tutti i titoli di coda e che potrebbe assicurarsi la primissima posizione nella "Yeeeuuuch! Parade".

La cosa stupefacente, dell’ultimo film di De Oliveira, è sicuramente il coraggio e la voglia di stupire del Maestro portoghese: un uomo di 95 (novantacinque) anni che non ha paura di deludere il suo spettatore, di “rovinare” in extremis il suo film per dotarlo di un messaggio misterioso e sfuggente. Dopo 90’ colti, educati e quasi didascalici in cui Un filme falado passeggia meditabondo lungo i viali della Storia delle civiltà occidentale, De Oliveira fa un’impressionante inversione a U e confeziona un finale incredibile che costringe a una rilettura fulminea e destabilizzante di tutti i fotogrammi visti prima dell’ultimo, immobile, su cui scorrono i titoli di coda... basta dunque un attimo di “terrore” a rovinare la Storia e la storia?...

Mamma, che cosa sono gli uomini moderni?”
Arnold Schönberg, Von Heute auf Morgen
Il film di Manoel De Oliveira è un catalogo, la guida di un museo en plein air grande quanto il pianeta, nel cui chiuso cerchio i visitatori di oggi non possono che diventare i reperti di domani, semplici bambole immolate sull’altare del Caos. Un’onda pigra e inspiegabilmente minacciosa culla una nave diretta a Citera, avvolta dalle fitte nebbie che resuscitano i morti, pronta a farsi segno del carattere effimero di ogni cosa sotto il sole. Il cinema prepara il monumento funebre, indica con discrezione gli istanti finali (la scritta blu che annuncia l’ultimo scalo) e compone (vedi il cartello dell’incipit) un epitaffio scarno e commosso come un canto di sorridente disperazione. Suoni, lingue, rumori si mescolano in una sinfonia per immagini (da antologia la sequenza egiziana, superbo accostamento di vita precaria e sfarzosa morte che culmina nell’inquadratura del vestito, doppio indizio di eterna bellezza) destinata a finire sotto vetro, pietrificata nello spettacolo della propria (in)compiutezza. PAROLE E UTOPIA (la cena in cui si ipotizza un rigenerato Eden) non disinnescano l’unico RITORNO A CASA possibile, l’osceno (alla lettera) dissolversi dell’uomo nella spuma del mare, nel fuoco destato da un dio ignoto e inesorabile, nella polvere di un enigmatico percorso archeologico.
