TRAMA
L’amore fra Louise e il giovane Nathan inizia proprio nel momento in cui la famiglia di Louise vive un drammatico declino: suo fratello Ludovic è gravemente malato e i debiti costringono la madre a vendere la grande casa di famiglia, il castello in Italia.
RECENSIONI
Valeria Bruni Tedeschi continua con la sua autobiografia mediata: i tormenti di una (non più così) giovane, ricca donna di successo stavolta ruotano intorno a una dimora familiare da vendere per contenere spese abnormi e tamponare guai finanziari in arrivo. Quelle dei suoi film sono da sempre parabole solipsiste sotto forma di dramma agrodolce, concentrate in un mondo di privilegi chiuso e autoreferenziale. In questo senso il suo primo titolo E’ più facile per un cammello... aveva esposto al meglio tutto il programma, ribadito, con minore forza dal successivo Attrici: vicende personali vissute con sottile disincanto, esibizionismi cervellotici, crisi verosimili, rapporto conflittuale - tra attrazione e senso di colpa - con le altre classi sociali, autocritica feroce fino al compiacimento di una donna che è rimasta bambina un po’ viziata.
Un castello in Italia somma i due precedenti: come nel primo film, su uno sfondo familiare, ciascun personaggio confina pericolosamente con un suo omologo reale (Marisa Borini, madre della regista-protagonista, interpreta ancora la mamma; Louis Garrel, suo effettivo ex, impersona il più giovane compagno, attore e figlio di un regista che rinuncia a un ruolo en travesti - l’interprete ha effettivamente abbandonato il ruolo di protagonista di Lawrence anyways di Dolan, poi ricoperto da Melvil Poupaud -); come nel secondo si ostenta un rapporto d’amore-odio con la recitazione (in una spirale che ha del pirandelliano e in cui non si comprende se è Valeria Bruni Tedeschi a ricoprire un ruolo o un ruolo a ricoprire lei) e non si fa mistero del desiderio di maternità; come in entrambi, le relazioni intime sono lo specchio in cui si vanno a riflettere le nevrosi.
Il film procede, come una rapsodia cechoviana, tra siparietti, per lo più ironici, confrontandosi con il dramma di un fratello morente (il personaggio interpretato da Filippo Timi evoca la figura effettiva di un fratello morto di AIDS a cui il film è dedicato) e di un amico di sempre in difficoltà e che non si ha più voglia di aiutare (interpretato dall'attore e regista Xavier Beauvois), tra una relazione che non si sa come gestire e l'appello alle forze misteriose della religione (il ritiro spirituale, la visita a Napoli) per ottenere l'unica cosa che i soldi non possono comprare (un figlio naturale) in un'autofiction isterica e lieve, che più che la messa a nudo, teme l'eccessivo mascheramento del reale.
Fa sempre lo stesso film Bruni Tedeschi, usa mille artifici evidenti per ricostruire la sua realtà parallela e, soprattutto, continua a parlare solo di quello che conosce: questo non glielo si perdona, ma a me continua ad apparire un pregio.