Drammatico, Recensione

UN BORGHESE PICCOLO PICCOLO

TRAMA

Per riuscire a raccomandare il figlio ragioniere per un posto al ministero, il padre arriva anche ad arruolarsi in una ridicola massoneria locale.

RECENSIONI

L’opera parte come feroce satira sul borghese tipico ma “piccolo” (quindi ancor più ridicolo nel suo arrivismo) e possiede uno straordinario arsenale di annotazioni e azioni significative in questo senso, partendo dal mito del posto sicuro e della raccomandazione per arrivare ad allegorie più sofisticate, come il modo piratesco di guidare l’automobile, simbolo della filosofia da pescecane del capitalista-individualista che si fa strada a scapito degli altri. Le tracce grottesche sono equilibratamente ricavate sul filo del verosimile (vedi la goliardica massoneria, con pusillanimi prove d’iniziazione), le battute rivelano cinismo e ipocrisie (“È sempre meglio fare un figlio di riserva”), l’ironia critica si scaglia contro il funzionamento degli uffici pubblici (il caposervizio che passa il tempo a controllarsi la forfora; le scrivanie sommerse dalle pratiche; la bellissima trovata dei colleghi con volto invisibile), le scorie fasciste (il protagonista parla con poco entusiasmo del suo periodo nella Resistenza e ammira l’uomo che disse “Molti nemici, molto onore”) e le pratiche religiose fra reminiscenze pagane e fanatismi (i riti propiziatori di Shelley Winters; la sequenza “apocalittica” con i parenti e le bare in attesa di un loculo). Improvvisamente, il film cambia registro approdando alla tragedia violenta, al thriller angosciante con tocchi di classe (il parallelo con il moscone che non riesce a uscire dalla finestra), sangue e umori criminali. La prova di Sordi è impareggiabile: passa con disinvoltura dal ruolo fantozziano a quello, invecchiato di colpo, dello psicopatico. Un cambio di rotta che vuole restituire, anche, il clima di terrore che si respirava in Italia durante il terrorismo, finanche in modo forzato e gratuito (ma regala la gag sul “sistemare” il figlio anche al camposanto), nel momento in cui trasforma una memorabile, amarissima tragedia del vivere medio e qualunquista in evento straordinario che annulla la portata critica. L’intenzione degli autori, aleatoria ma senz’altro coraggiosa, è anche quella di chiudere nel paradosso un apologo sul borghese che non demanda mai al normale corso “sociale” le pratiche riguardanti la propria vita e sul dramma esistenziale dell’animale sociale moderno, destinato alla solitudine del pensionato dopo tanto penare.