TRAMA
Ann in punto di morte, assistita dalle figlie, ricorda il matrimonio della sua migliore amica, Leyla, le sue ambizioni di cantante e il suo unico amore, durato il tempo di due giorni.
RECENSIONI
L’affermazione tematica cui il film ci vuole condurre è, a mio parere, molto esplicita e si racchiude nelle parole che la vecchia Ann dice alla figlia Nina in punto di morte come ultimo consiglio, frutto di una tardiva meditazione sul passato: nella vita non esistono sbagli. Un amore senza tempo non è, o almeno non vuole essere, il racconto di una storia d’amore, ma piuttosto una riflessione sul tema della Scelta – tutta individuale – tra le esistenze possibili. Non è un caso che, nei due livelli temporali in cui la storia si disloca, ci vengono presentati, in rapporto simmetrico tra loro, due modelli di vita opposti: da un lato Ann e Nina che, irrequiete e ambiziose, sognano l’amore impossibile; e dall’altro Leyla, la migliore amica di Ann, e Connie, la sorella di Nina, che si accontentano, tra mille difficoltà, di un’esistenza più modesta, fatta di bambini chiassosi e di mariti che non si amano fino in fondo. In modo un po’ frettoloso Koltai risolve il conflitto tra sognatori e realisti a favore di entrambi e nei fatti non si dà pensiero di affrontare in profondità quello che si era proposto; il dilemma kierkegaardiano della Scelta come negazione di una possibilità alternativa, viene superato in modo banale, all’insegna del “tutto va bene”, saltando vari passaggi dimostrativi. Il regista, con una sceneggiatura – che porta nientemeno che la firma di Michael Cunningham – di per sé abbastanza solida, con una discreta caratterizzazione dei personaggi, ci fa seguire i ricordi di Ann che dovrebbero prima o poi spiegare quel misterioso sbaglio di cui si parla dall’inizio del film; purtroppo il momento risolutivo non arriva e non si capisce nemmeno quale sia il problema che genera il conflitto interno a Ann, se la notte d’amore con Harris di per sé, oppure l’incidente di Buddy che da quella è indirettamente causato, oppure ancora l’aver rinunciato ai suoi sogni di cantante per essere più vicina alle figlie. In ogni caso, se si salta la fase della messa a fuoco e dell’analisi del problema, giungere a una generica auto-assoluzione è sin troppo facile.
Il film è poi appesantito da una serie di insopportabili scelte visive che riguardano in modo particolare – ma non solo – i momenti in cui presente e passato si fondono nella mente di Ann: si vuole rappresentare quel senso di superamento del tempo che prelude alla morte, ma il tentativo fallisce: la scena della farfalla luminosa che di notte entra nella camera della protagonista e che lei, moribonda, insegue con leggero passo di danza per tutta la casa, è quanto di più ridicolo il cinema internazionale abbia prodotto negli ultimi anni. Oltre a questo sono tanti i momenti purtroppo indimenticabili: dai dialoghi sul senso della vita oscillanti tra l’ovvio e il criptico, agli onirici tramonti in barca con vele e vestiti bianchi. Più in generale il film paga la leziosità dei movimenti di macchina e della fotografia, che nei suoi toni oleografici accentua il lato patetico del film, di per sé già consistente.
Perfino il supercast in fin dei conti delude: Redgrave sempre troppo svampita e Collette non riesce a reinterpretare in chiave personale lo stereotipo della ragazza nevrotica e impaurita. Discreti gli altri e ottime le apparizioni di Streep e Close.