Drammatico

UN ALTRO PIANETA

TRAMA

Una mattina d’estate. Salvatore osserva l’orizzonte di dune che si staglia sul blu del cielo, oltre c’è la spiaggia e un’intera giornata da trascorrere. Una giornata dai risvolti imprevisti e, forse, una nuova possibilità, una nuova vita._x000D_

RECENSIONI

La giornata sul litorale laziale comincia con un po' di “battuage”, al riparo tra gli arbusti che separano dalla spiaggia, e termina con un amplesso che segna un nuovo, inaspettato, incontro. I due protagonisti, infatti, al mattino sono perfetti sconosciuti che per una serie di coincidenze, e dopo reciproche e inattese scoperte, finiranno per conoscersi, apprezzarsi e desiderarsi. Il film di Stefano Tummolini, girato con un budget irrisorio (1000 euro per sette giorni di riprese), riesce a evitare i maggiori luoghi comuni delle opere di debutto. Niente velleità artistiche pseudo autoriali, nessun maledettismo d'accatto, ma un tentativo di dare voce con sincerità al sentire dei personaggi, ragazzi e ragazze come tanti, ma con delle specificità caratteriali ben delineate già in fase di scrittura (e qui sta la loro forza), alla ricerca di se stessi e di un po' di complicità. Altro aspetto interessante è l'assenza di tesi da dimostrare. La scelta delle proprie preferenze sessuali sembra argomento finalmente superato, interessante più nelle conseguenze che determina piuttosto che nei crucci esistenziali alla base delle consapevolezze acquisite. Ciò che sta a cuore ai personaggi è a volte confrontarsi, altre volte esibirsi (la ragazza con il padre ammalato, la parte più debole della sceneggiatura), comunque provare a stabilire un contatto senza preoccuparsi troppo di ciò che verrà dopo. Forse con superficialità, ma anche con quella naturalezza per cui molto spesso la vita risulta più incredibile di ogni tentativo di imitarla. Questo aspetto, unito a una certa freschezza nella messa in scena, rende il film di Tummolini un onesto tentativo di dire la propria. Nulla di originale, certo, e a tratti un po’ schematico, ma un’apprezzabile volontà, atipica nel panorama italiano, di svincolarsi dalle trappole del “cinema d’autore” senza inciampare nel “carino” e cadere nella risata grossolana.

Day in Capacotta.

Pasolini non docet più.

Nostro è il tempo del verbo ozpetekiano e Un altro pianeta ne costituisce un centone perfetto: non a caso, Fertzy viene omaggiato testualmente e l’autore del film viene direttamente da quella scuola. A lui si devono i memorabili siparietti domestici del mai dimenticato Hamam (Francesca Aloya, mogliettina involontaria spettatrice del tradimento del compagno Alessandro Gassman, colto tra le braccia di un altro):
Lui: Ma anche tu mi hai tradito!
Lei: Si, ma con un uomo...
Lui: Beh, anch’io!

Constatazione preliminare: l’accoglienza calorosa ricevuta a Venezia non ci dice nulla sul film e molto sul pubblico italiano. Illude come il titolo: da non leggere come si vorrebbe, ma come si dovrebbe, non nel senso di un pianeta “altro”, ma di un altro pianeta… ancora un pianeta… l’ennesimo pianeta.

Nihil novi sub sole Capacoctae.

Salvatore, abbronzato e triste portatore di bandana, arriva a Capacotta, adocchia un ragazzo, pure lui malinconico. Ovvio: chi ricerca i piaceri della carne in incontri occasionali non può che essere un maniaco depressivo. Si avvicinano l’un all’altro ed iniziano ad amoreggiare. Lo sguardo della macchina da presa stringe sui volti. Il sesso resta fuori campo. Trenta secondi dopo, il sesso esce definitivamente di scena: il figurante eiacula precocemente. Una pagina esemplare di de-sessualizzazione dell’omoerotismo: negazione della mostrazione dei corpi, dell’atto; messa in ridicolo dell’atto stesso: la eiaculazione da Guinness rinfranca lo spettatore, che si libera dall’imbarazzo con una fragorosa risata di superiorità. Un declassamento prima visivo, poi discorsivo.
Dunque, il buon Salvatore, già nell’incipit, si presenta come maschera decorporizzata. La maschera di cosa? Del “taciturno incolto ma sensibile”, poliziotto che si finge fioraio (la fusione di due stereotipi, complimenti), destinato ad incappare, lungo il suo cammino, in suoi “simili”, ovvero quei “tipi” familiari di cui le commedie nostrane più recenti pullulano, dalla fiorentina ridanciana e un po’ fessa (dritta dal vivaio pieraccioniano) all’intellettuale di mezza età che cerca di sedurre una femme fatale di borgata sfogliando la Dialettica dell’illuminismo di Horkheimer/Adorno. Maschere di maschere, tipizzazioni di secondo o terzo grado: in breve, ci sarebbe molto da ridere. Gli attori, effettivamente, paiono divertirsi. Beati loro. Ma l’esteriorizzazione di un dramma è alle porte e si tradurrà in una rivelazione destabilizzante. Dopo tanta allegria, arriva la nota dolente: uno dei personaggi femminili getta ex abrupto la maschera da donna isterica e ne indossa un’altra. Un cambio di registro repentino narrativamente e moralmente inaccettabile, che dice tutto su tutti i fronti, dal dilettantismo, che si evince dalla scrittura approssimativa e dalla penosa realizzazione, alla pochezza intellettuale (un immaginario tra Isola dei famosi e Uomini e donne) di colui/coloro i quali lo hanno concepito.

Tre aggettivi tre per chiudere un discorso che non avremmo mai voluto aprire:
- becero: la T-shirt “bifronte”: I’m Gay/I’m Hetero, ovvero il Passing de Noantri…
- irritante: il ralenti del fantasma dell’amore perduto che fa jogging sulla battigia...
- imbarazzante: i dialoghi, dalla prima all’ultima battuta.
Insomma, un’opera da premio: siamo in Italia, Un altro pianeta ha vinto il Queer Lion. Mi domando e domando idealmente ai signori giurati e ai loro complici: conoscete il significato del termine Queer? Avete mai letto Judith Butler? Judith chi?

Agli autori: continuate così, facendoCI del male, giacché del male che infliggete anche a voi stessi non potete, evidentemente, avere coscienza.